Apparentemente la richiesta per il ritorno di Lande era così grande perché la band e Jorn l'ignorassero. Più grande anche delle divergenze sollevate da quest'ultimo in relazione ad un genere lontano da quello del suo modello Ronnie James Dio, a cui si era avvicinato grazie alla propria carriera solista.
L'ex Helloween Roland Grapow ha così prodotto il disco facendo un lavoro stellare visto che "Time To Be King" e un concentrato di power metal sfavillante di melodia, tastiere sinfoniche, chitarre sferzanti, roccheggianti ritmiche destinate a rimanere in testa, oltre ovviamente ai polmoni di Jorn.
Bisonga d'altra parte sottolineare come l'album non sia d'immediata assimilazione al di là dei suddetti arrangiamenti armonici e delle melodie, soprattutto a nome di coloro che posseggono entrambi i precedenti lavori. Il distacco creativo da questi non è forse sufficiente per attestarsi sugli stessi livelli, mentre la carenza a livello delle liriche in confronto ai precedenti è abbastanza inclemente: non c'è traccia del senso di assedio, emarginazione e reclusione che stillava copiosamente da Aeronautics, designando un cambio di rotta verso lidi più tranquilli, anche se bene enfatizzato, oltre che dalla produzione, dalla maestria di Axel Mackenrott alle tastire, in grado di amplificare il mood convogliato dai testi strizzando l'occhio all'AOR senza mai risultare sinfonico. Per fortuna potremmo dire, data la pericolosa vicinanza dei testi all'iconografia laconica dei DragonForce dove termini come "flame, power, storm, stars" e "rise" vengono ripetuti alla nausea.
Le prime tracce sono però tutte molto accattivanti, ed è difficile identificare dei pezzi salienti, anche se tale titolo spetta forse a "Lonely Winds Of War" e alla successiva "The Dark Road". Il primo pezzo non meriterebbe di per sé tale elogio data la losca similitudine con "Blackberry Way" dei The Move; ma le migliorie apportate a quest'ultima sono talmente evidenti che il fine giustifica i mezzi, mente spetta a pieno titolo a "The Dark Road", che oltre ad essere strategicamente posta a metà del disco ne è anche l'emblema. Certo, la vena poetica non tocca neanche qui i picchi di Aeronautics, ma si tratta comunque di un esploit di grande raffinatezza che richiama l'amore per il rock & roll (non il metal) interpretato in modo magniloquente da Lande; e forse è proprio ad esso che vanno applicate le strofe conclusive: "In my time i gave you thunder, and now i'm going under..."
Oltre ai testi non mancano altre note dolenti: i pezzi successivi smettono di regalare sorprese, soprattutto "Blu Europa" ricorda un pezzo del disco d'esordio e la bonus track "Kisses From You", un plagio dei Queen a tutti gli effetti che i Masterplan potevano sicuramente risparmiarsi.
Tirando le somme il lignaggio dei Masterplan prospettava ben altro coronamento rispetto a quello autoconclamato della cover e del titolo; d'altro canto, come è accaduto con "The Frozen Tears Of Angels" dei Rhapsody, la mancanza di originalità non basta ad ottenebrare la bravura e la tecnica dei singoli elementi dalla fama più che conclamata; e soprattutto Lande sembra veramente meritare lo scettro di erede del grandissimo Ronnie James Dio.
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