Chi mi ha visto per mesi andare al lavoro seduto in treno con le cuffie del mio iPod nelle orecchie e le labbra che salmodiavano seguendo i brani, mentre facevo fatica a tenere fermo il corpo non poteva sapere che stavo ascoltando questo gustosissimo album. Peccato per loro...

Inutile girarci attorno: mi piace perché è pop, ma rockeggia, perché è un album vario e piacevole, fatto di canzoni che ti restano dentro e che ti fanno muovere il cuore e il corpo. La ricetta di questi circa 50 minuti di buona musica è semplice: Kori Gardner e Jason Hammel da San Francisco, marito e moglie, due voci che cantano e si controcantano, si cercano, si sovrappongono, condite con suono d'organo a profusione, un pianoforte e batteria. Esatto niente basso e chitarra: limitante, ma coraggioso. "Io un disco senza basso non l'ascolto!" vi avrei dato ragione, ma il trucco sta nello sparare l'organo ultra distorto ed il groove è assicurato, provare per credere.

Inutile tirare in ballo i White Stripes: siamo su territori totalmente differenti, decisamente più pop, ma di quello arruffato. E un duo che ha la capacità di costruire pezzi che partono solari e che ti avvolgono poi in un banco di nebbia (l'iniziale "Think Long", che nel momento clou da ballata midtempo prende un incedere marziale), irresistibilmente catchy e ballabili (le imprescindibili "Fraud In The '80s", "For The Actor", "Punchlines"), ma tutti con quell'indole da anthem che ti obbliga a cantare i ritornelli ad alta voce ("Beautiful Dreamer", "Nature And The Wreck", "So Many Ways"). Contribuisce grandemente una scrittura semplice, ma ricca (chi ha detto beatlesiana?), in cui il suono dell'organo apre alla melodia spazi altrimenti difficilmente raggiungibili, grazie anche all'uso corale delle voci, portatore di reminiscenze punk.

Sarebbe troppo partigiano per me non ammettere che uno dei limiti principali di questo disco è nel suono della batteria che spesso è proprio buttato lì: anni di ascolto di rock ti fanno capire che se della batteria ti ostini ad usare il solo rullante senza toccare i tom, il basso a supporto ci vuole, punto. Questa scelta stilistica obbliga a riempire con qualcos'altro, che può essere una parte vocale in controcanto o una scampanellata di organo: alla lunga, inutile dirlo, il giochetto risulta scontato ed un po' stancante. Non che tutto questo mini la fruibilità complessiva, ma lascia adito al dubbio che se si liberassero di questi limiti riuscirebbero in opere qualitativamente ancora superiori, dato che i numeri per fare bene i 'Mates Of State' ce li hanno tutti.

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