"Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene… il problema non è la caduta, è l'atterraggio"

Parte "Burnin' and lootin'" di Bob Marley, il film si dispiega nella logorroica nonsense di Said, che nella vita reale è Said e nella maturità controversa di Houbert che nella vita reale è Houbert e nell'irascibilità di Vinz, che prima di diventare il Sig. Bellucci, nella vita reale era Vincent. E' un pugno nello stomaco, assoluto, definitivo, essenziale come la scelta del regista del bianco e nero.

Sociale ma apolitico, perché il problema principale è ora, qui anche se l'urgenza scorre a tempo d'orologio. Tutto crolla, e un conoscente in fin di vita diventa il pretesto per farti prendere la mano da una pistola smarrita.

Ti tocca da vicino, ti coinvolge e ti sconvolge anche se il ritmo non è sempre altissimo. Le macchiette intercalate ai personaggi principali alleggeriscono il clima del film, ma tutto gira attorno all'incoscienza della vendetta come rivalsa sociale; se non ce la fai col cane e ti rifai con i canini e se loro possono uccidere uno di noi, noi dobbiamo uccidere uno di loro, non importa quale. Alla fine nella lotta fra poveri si esce tutti sconfitti e il non detto, quello sparo finale sullo schermo buio… non conta chi ammazza chi, poco importa che muoia l'unico buono (che tanto buono poi non è) od il poliziotto, l'agnello sacrificale è l'innocenza perduta da una società sull'orlo del baratro. E che ti porta, per dirla all'italiana, o dalla parte dell'estintore e del sanpietrino o dalla parte del lacrimogeno e della divisa.

Erede ed allo stesso tempo antisegnano degli scontri che periodicamente mettono a ferro e fuoco le banlieu, Mathieu Kassovitz firma (filma?) così la periferia di Parigi (o di qualsiasi altra grande città) nel 1995, un gioiello in bianco e nero dove non c'è più vittima e carnefice ma solamente odio.

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