Bisogna dirlo: la seconda stagione di Stranger Things parte abbastanza male. Ho trovato alquanto deludente la gestione del “mistero” nei primi episodi. Come per incapacità di variare l’impostazione della loro serie tv, i fratelli Duffer impostano anche la seconda stagione attorno al topos del percorso conoscitivo per comprendere un’alterità mostruosa. Ma la strategia non funziona granché, soprattutto rispetto alla prima annata. Per due motivi principali: da una parte perché quel mistero è già stato incontrato e scoperto, almeno parzialmente; dall’altra perché il percorso conoscitivo è decisamente meno interessante. La forza di Stranger Things 1 era data dal fatto che i vari gruppi di personaggi percorrevano ognuno una strada diversa verso la conoscenza, verso la scoperta del Sottosopra. In questa invece c’è molta più compattezza tra i protagonisti e tutto assume toni più istituzionali, impostati, meno genuinamente fanciulleschi e adolescenziali. Per non parlare della vicenda di Undi, che nei primi episodi è quasi insopportabile.

Fortunatamente, la serie matura bene e una volta superato lo scoglio iniziale raccoglie frutti particolarmente succosi. La storia fantascientifica non era l’aspetto fondamentale nel 2016 e continua a non esserlo nel 2017. Così, la bellezza delle vicende fiorisce letteralmente intorno ai personaggi, davvero ben caratterizzati e a tutto tondo, anche più di prima. Quasi sorprendente il personaggio interpretato da Sean Astin (Sam Gamgee) per la sua repentina evoluzione (o meglio disvelamento) da petulante borghese a genio degli enigmi, eroe improvvisato e commovente. Ma è eccezionale anche Max, la ragazzina tutto pepe coi capelli rossi che dà un tocco di imprevedibilità alle dinamiche interne al gruppo dei ragazzini. Che a sua volta evita fortunatamente di ripetere le dinamiche già viste: tra un Will mezzo posseduto, un Mike scontroso e un Dustin che percorre traiettorie tutte sue, egoistiche e ancor più scapestrate. Lucas ha finalmente più spazio e non viene sprecato.

Sorprende non poco la piega che assume il comportamento di Steve. Ed è soprattutto qui che gli sceneggiatori dimostrano grande intelligenza. Da quasi villain il giovanotto diventa una guida per i ragazzini. Sia dal punto di vista delle pratiche di corteggiamento (per Dustin), sia nell’organizzazione delle strategie per sconfiggere i mostruosi nemici. Al suo posto, c’è il fratello di Max a fare da bullo di turno. E lo fa in modo più impetuoso, strafottente ed esagerato.

Capitolo Undi: la noia iniziale della sua condizione si stravolge completamente a metà stagione e dà nuova linfa vitale alla fiction nel complesso. Il suo è un percorso formativo vero, autentico: essendo quasi un foglio bianco, la ragazzina accetta quasi aprioristicamente qualsiasi stimolo esterno. Ma la sua evoluzione prevede proprio che arrivi un momento in cui dovrà distinguere tra bene e male.

Apprezzata la scelta di dare poco spazio a Nancy e Jonathan, che sono palesemente meno freschi del resto dei personaggi, come di calcare la mano anche sui limiti e le nevrosi del poliziotto-eroe Hopper. Questi fanno risaltare ancor di più le sue qualità, lo rendono un personaggio più realistico e credibile.

Irresistibile il crescendo degli ultimi due episodi: se inizialmente possono sembrare troppo incentrati su sequenze action nel dedalo di corridoi che è il laboratorio, approdano nell’ultimo capitolo a una dimensione più caratterizzata e assimilabile all’universo Stranger Things. Anzi, se la partenza della stagione è zoppicante, nel finale movimentato essa si dimostra superiore e più originale della prima. Questo sia per le dinamiche più peculiari (con scelte diegetiche oggettivamente brillanti, come il “problema” che affligge Will), sia per una filigrana stilistica più convincente e ricca.

Le musiche sono più efficaci, per quanto un po’ ripetitive, la fotografia e i colori si imprimono con maggior forza nell’occhio dello spettatore, la tensione è meglio distribuita tra i diversi scenari in cui viene portata avanti la lotta al “Mind Flayer”. L'iperbole drammatica dello scontro finale è apocalittica e straripante. E poi una chiusura puramente da commedia romantica davvero deliziosa, che ricorda per l’ennesima volta quale sia la forza della serie: le vicende “normali” da adolescenti dei protagonisti. Superato l’effetto sorpresa, questa stagione dimostra la solidità strutturale del progetto.

7/10

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