Nella vita di ogni jazzista di fama arriva o poi (e non sa bene se augurarselo o ritardare questo momento il più possibile) il fatidico album "with strings". E' un riconoscimento, perché vuol dire che la sua casa discografica lo giudica abbastanza spendibile da poter ingolosire una platea più vasta di quella degli irriducibili da jazz club, e nello stesso tempo è un tranello micidiale, perché si rischia di ancorare la propria immagine a quella dell'entertainer di lusso, che propina delicati arpeggi su un sottofondo di archi morbido e carezzevole come il culetto di un bebè.

Del resto è anche vero che album di tale fattura sono i best seller nella discografia di ogni musicista jazz, e anche il più puro degli artisti ha le scadenze di fine mese e le bollette da pagare...
Detto questo, ho l'impressione che questo genere di dubbi e rovelli di coscienza non abbia afflitto per più di qualche secondo il granitico McCoy Tyner, quando, nel 1976, diede alle stampe questo "Fly With The Wind", realizzato per l'appunto con piccolo ensemble di archi e di fiati.

Dopo aver ascoltato questo disco, l'impressione è che il leggendario pianista del quartetto di Coltrane abbia pensato: "Fanculo la morbidezza, adesso ve lo faccio vedere io come si usa un'orchestra d'archi". Intendiamoci, il risultato e gradevolissimo, a tratti entusiasmante, ma tutto si può dire tranne che Tyner abbia voluto confezionare un prodotto garbato e tranquillizzante, atto a sonorizzare un languido incontro romantico o un pigro brunch di professionisti fighetti.  
E allora, già a partire dalla title-track, si parte a mille, in sella a questo potente destriero, con l'orchestra che più che smorzare amplifica le scorribande pianistiche del nostro. I torrenziali assoli di Tyner sembrano in costante gara, fino all'ultima battuta, con la poliritmica propulsione di un incontenibile Billy Cobham. Il flautista Hubert Laws (vero comprimario del leader) riempie l'aria di svolazzi, non suonando mai banale o stucchevole. "Salvadore de Samba" saturerà la vostra stanza di energia, rendendovi impossibile stare comodi in una qualunque posizione sulla vostra poltrona... Un attimo di respiro con "Beyond the Sun" e poi di nuovo a volo radente, tra le valli e i picchi di una musica semplice e allo stesso tempo intricata, che vive sì di suggestioni epidermiche, ma che rimane saldamente nelle mani di una sapientissima scrittura e una rigorosa lucidità, dettata da un signore che si può senza timore additare come un pezzo di storia del Jazz.

Travolgente, divertentissimo.
E fanculo la morbidezza.

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