1998. King Buzzo deve aver consumato "The Piper At The Gates Of Dawn". Pochi anni prima, invece, scoprì i piaceri della musica elettronica.
1999: "The Bootlicker". Cosa possiamo aspettarci da tre pazzi, che appena sedici anni prima iniziarono il loro processo di rivoluzione/rivisitazione di un certo tipo di musica, e decidono di mettere su disco le loro "nuove" influenze e derive psichedeliche? Un capolavoro. "The Bootlicker" è essenzialmente questo. La loro opera magna del periodo Ipecac. Una bibbia dalla quale gli stessi Melvins raramente attingeranno.
Schiacci "play" e vieni accolto dal King Buzzo che non ti aspetti. Chitarre pulite, ritmi marziali e psichedelia allo stato puro. Un sali scendi inaugurato dalla breve litania di "Toy" e concluso dall'allucinata e (poi) sognante "Prig". Nel mezzo deliri di feedback, suoni omeliaci, stranianti e tanta follia. E non stupiamoci se "Black Santa" paga il dazio a certe atmosfere (psycho)industriali o, anche, se "Jew Boy Flower Head" sembra il cuginetto in acido di "Goose Freight Train". Il potere dei Melvins è la destrutturazione dei confini musicali (leggi etichette, generi) e con questo album dimostrano di saperlo fare meglio di chiunque altro. Questa è la polaroid del loro 1999. Ma chi può immaginare cosa diverranno in seguito?
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