I Melvins sono instancabili.

Viaggiano in lungo e in largo nei meandri della loro vuota calotta cranica e ci trovano sempre cose divertenti che poi comunicano al mondo. Ogni tanto ci trovano qualcosa di strano-strano ("Honky"), altre volte trovano cose dementi ("Stag") e altre, ogni vent'anni e passa, anche cose potabili ("A Senil Animal").

Questo, "The Maggot", iscritto nella trilogia che comprende "The Bootlicker" e "The Crybaby", stampato nel 99 per la Ipepac di Mike Patton, è un inno alla tracottanza e al riff a suon di rutto libero, simbolo della fiera tamarragine musicale che i Melvins sfoggiano con non curanza.

Si parte con le fiamme di "amazon", quella piccola, che ti salta sugli stinchi e in un baleno ti è sul viso. "AMAZON", quella grande, è una dei soliti panzer di marca Melvins che ti schiacciano al suolo, questa volta con ritmi quasi industrial. "We All Love JUDY" è il classico riff Melvins che ti fa fare su e giu con la testa che è una bellezza (provare per credere). "The Green Manalishi (With the Two-Prong Crown)", cover dei Fleetwood Mac, è marziale, così marziale da sembrar di stare in chiesa dal rispetto che innesca. L'ultima, "See How Pretty, See How Smart", è un carrarmato ultimo modello che ti porta a vedere cose strane, una sorta di trance dovuto alla sadica ripetizione dello stesso lento e dilatato riff... insomma un classico Melvins.

Allora nemmeno questa volta sono riusciti a far un disco brutto. Quando testimonieranno al mondo, questi Blues Brothers del rock, ciccioni e capelloni, che sono umani? Quando finiranno i trucchetti? Nel dubbio di dovergli rendere grazia ogni sera do un bacio alla foto di Buzz che ho attaccato sopra la spalliera del letto.

Carico i commenti... con calma