Il più grande sogno (2016) è l’esordio cinematografico di un giovane regista romano: Michele Vannucci (1987).
Il film partecipa al Festival di Venezia nella sezione Orizzonti. Dopo la proiezione applausi e lacrime, stupore e clamore. Vannucci ai David di Donatello viene premiato come miglior regista esordiente.
Ci troviamo in presenza di una sorta di docu-film in quanto i protagonisti, sebbene in ambito cinematografico, ovvero in veste attoriale, interpretano quasi tutti loro stessi e ripercorrono, nel racconto filmico, fatti realmente accaduti.
Siamo a La Rustica, una degradata periferia di Roma-est.
Il protagonista di questa storia è Mirko Frezza (Mirko) che interpreta, appunto, se stesso.
Mirko ha 40 anni, ha una moglie, due figli, è disoccupato ed è appena uscito da un lungo soggiorno di 7 anni gentilmente offerto dalle patrie galere…
Riprende la sua vita (criminale) di sempre fatta di spaccio di droga, sembra non ci sia via di uscita ma accade qualcosa… C’è una ragazza a La Rustica che cerca di cambiare le cose e comunica a Mirko che per l’elezione del presidente di quartiere è proprio lui che hanno votato.
Incredulo, il nostro, dapprima sembra non ne voglia sapere ma poi vede in questo ruolo la prospettiva per l’inizio di una nuova vita e ce la metterà tutta per cambiare le cose ed imboccare la retta via. Sarà un’impresa titanica…
Il più grande sogno segue il solco tracciato da tre grandi film, “romani” come lui, usciti negli ultimi due anni: Non essere cattivo, Lo chiamavano Jeeg robot, Suburra. Non è dunque un caso che Alessandro Borghi, romano e presente su due film dei tre citati, giovane e talentuosa promessa del cinema italiano, partecipi in questo film nelle vesti di Boccione, amico fraterno di Mirko.
L’odissea cristologica di questo omone e la sua interpretazione lasciano il segno. Grande e grosso, capelli lunghi e barba, occhi azzurri grandi, intensi. Un’interpretazione sofferta di un attore dilettante che rifà sé stesso ma è proprio la potenza del dramma del suo passato reale a dare spessore e credibilità alla sua prova. Incredibile a dirsi, Mirko oscura l’ottimo professionista Borghi che in questo film “recita” mentre Mirko è se stesso. Paradossalmente è proprio il Borghi l’anello debole della catena ma le sue battute, i suoi vaffanculo, strapperanno più di una risata.
Il film, seppur con i naturali limiti di un esordio, è interessante anche dal punto di vista tecnico. Vannucci ha un suo stile, si prende i suoi tempi, dilata l’azione, indugia, rallenta, quindi accelera (la giostra, l’inseguimento).
È un film intenso, assolutamente realistico, profondamente drammatico, eppure qua e là si respira e ci si rilassa con una battuta, con una risata.
Il finale, infine, accompagnato da “Canzone” di Don Backy, è splendido.
Vedetelo.
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