Prima di tutto le persone, con le loro difficoltà e le speranze. Prima di tutto i sentimenti, la fragilità di chi è solo e la forza di chi si sostiene al proprio partner.

Il rapporto tra gli essere umani. Ecco la base del film di Mike Leigh.

Il dodicesimo lungometraggio del britannico Leigh interroga la famiglia e i rapporti interpersonali, eviscerando quelli che sono i problemi "sociali" sottaciuti del nuovo millennio: la solitudine esistenziale, la paura di rimanere soli al cospetto di un mondo freddo e insensibile ai problemi dell'uomo. Il personaggio che più di altri rappresenta all'interno del film questa condizione è Mary (una straordinaria Lesley Manville), che a causa della mancanza di un compagno sprofonda nell'alcool prima e nella depressione poi. Problema  in comune con Ken (Peter Wight), anch'egli divorato dall'alcool e dalla dolorosa constatazione di essere solo. A queste figure fa da contraltare la solida coppia formata da Tom e Gerri (rispettivamente Jim Broadbent e Ruth Sheen), sempre felici nell'accogliere in casa tutti i loro amici "sfortunati".

Basandosi sul complesso rapporto a "ragnatela" che si viene a creare tra i molteplici personaggi del suo film, Leigh mette su una pellicola che si distacca completamente dai film che imperversano oggigiorno nel calderone distributivo. Non ci sono le spettacolarizzazioni di "Inception" e neanche le sponsorizzazioni attoriali di "Il discorso del re": Another year è una piccola perla nata e vissuta all'ombra del successo dei "grandi" nomi cinematografici che si contendevano gli ultimi Oscar.

Leigh dimostra di prediligere la classicità, girando un film semplice nella forma.
La sua regia è precisa e "agevolata" dalla scelta di sviluppare la vicenda soprattutto negli interni: alla fine dei conti Another year è un film "teatrale" nel senso meno spettacolare del termine. Leigh e la sua macchina si mettono al servizio degli attori, tutti o quasi sconosciuti ma perfetti nei loro ruoli: dimostrazione che Leigh sa scegliere bene, prima di immergersi nel mercato dei "grandi nomi". Nota di merito va a Lesley Manville, sublime nell'interpretare quella che è probabilmente la figura più complessa della pellicola: una donna assillata dalle sue stesse domande, dall'incapacità di risollevarsi da una vita che anche a causa sua non gli ha riservato particolari acuti. Vino, sigarette e lacrime sono gli elementi costanti che riempiono le sue giornate.

Ciò che più sorprende della rappresentazione di Leigh è la grande capacità con cui è riuscito a far convivere attori, storia e sceneggiatura, intrecciando alla perfezione temi comunque complessi e di non facile trattazione. Lo screenplay, scritto dallo stesso Leigh (con il quale è stato candidato all'Oscar per la miglior sceneggiatura originale) è perfetto nel raccontare attarverso dialoghi taglienti e a tratti anche ironici, la diversa visione della vita della moltitudine di personaggi che Another year ci mette davanti. Molti di loro continuano la propria esistenza nella felicità e nella tranquillità comoda della propria casa, magari con la buona novella del fidanzamento del loro unico figlio. Altri vivono dimenticati dal mondo in una casetta anonima, abbandonati dalla moglie e da un figlio troppo irruento.

E' cosi che opera il tempo: un'altro anno è passato, ma per molti le difficoltà sono sempre le stesse. "Verranno momenti migliori, il tempo è una ruota che gira" scrissero i Modena City Ramblers: forse sì, ma non per tutti...

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