Eccolo il vero capolavoro di Mike Oldfield, "The Songs Of Distant Earth" ventuno anni dopo i primi approcci di "Tubular Bells", primo esempio del talento di questo artista poliedrico e straordinariamente pieno di visioni musicali impareggiabili . Con quest'opera Oldfield traduce in musica il romanzo omonimo di Clarke , e lo fa realizzando una unica e grande sinfonia magistralmente eseguita e prodotta .
La musica artificiale delle tastiere e dei ritmi programmati si sposa in modo suggestivo e riuscito con i canti delle balene che aprono il disco, Oldfield introduce il lavoro inserendo un piccolo estratto dalla "Genesi" letta da Anders a bordo dell'Apollo 8 nel 1968 . La crescita dei sentieri sonori avviene fra canti tribali , chitarre e percussioni in un crecendo che trasporta l'ascoltatore lontano , ascoltate "Supernova" e "Oceania" e capirete il perchè sia questa la migliore opera di Oldfield , quì c'è tutto il suo amore per la natura , gli spazi immensi , i silenzi e i suoni , i canti e le grida . Non c'è un momento che non funzioni , la musica e i suoni più diversi si uniscono in un unico canto, e sembra proprio di sentirla cantare , la terra fra i passaggi di pianoforte e chitarra acustica che aprono verso la potente chitarra di Mike in "Lament For Atlantis".
Questo è il vero Oldfield , liberato da Branson e libero di assecondare il suo talento, gli riesce tutto i canti gregoriani di "The Chamber" e le atmosfere glaciali di "Hibernaculum", se non avete questo disco procuratevelo, perchè un giro nell spazio con Mike bisogna farselo e ne vale veramente la pena. Grazie Mike .
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