Le beghe sentimentali di fine ottocento devono avere davvero un largo seguito di interessati presso le colline di Hollywood. Non a caso le disavventure erotico-filosofiche dei protagonisti dell'opera più celebre di Pierre Choderlos de Laclos, "Les Liasons dengereuses", continuano dal lontano 1782 a raccogliere fan. Il primo fu Roger Vadim con "Le relazioni pericolose" del 1959 e ventinove anni dopo arrivò il turno di Stephen Frears con un film omonimo. Nel 1989 Milos Forman segue l'esempio dei suoi predecessori con "Valmont".

La storia ruota essenzialmente intorno al visconte Valmont (C. Flirth) e alla marchesa Juliette de Merteuil (A. Bening), due aristocratici un tempo amanti e dediti al libertinaggio. Nel mirino dei loro giochi di seduzione cadono madame Tourvel (M. Tilly), moglie di un altro vecchio amante della marchesa, e una cugina di quest'ultima, Cecile (F. Balk). Secondo i patti del gioco, Valmont dovrà sedurre la de Tourvel e deflorare la giovane Cecile, appena uscita da un convento. Inizialmente l'inesperta verginella rifiuta le advances di Valmont in quanto innamorata di un uomo, pressappoco un suo coetaneo, Danceny. Tuttavia Valmont riesce a sedurre entrambe le prede fino a far innamorare di sé madame de Tourvel. Ma poiché la marchesa gli ordina di interrompere la relazione con lei, Valmont le scrive una lettera di rottura. A tal punto il gioco fra i due protagonisti si fa sempre più pericoloso e la de Marteuil rivela a Danceny la relazione fra Valmont e Cecile. Il ragazzo, infiammatosi alla notizia, sfida il visconte a duello, finendo per ucciderlo.

La singolarità dell'opera di Forman, caratteristica che la porta a discostarsi rispetto alle precedenti pellicole e al libro stesso, giace sotto numerosi profili. D'altronde la sceneggiatura manipola dichiaratamente il romanzo per quanto riguarda diversi aspetti, fra i quali l'età dei personaggi, molto più giovani rispetto a quelli che compaioni nel film del collega americano Frears. Il regista ceco tende a stemperare i toni pesantemente cinici realizzati dalle pur sempre eccellenti interpretazioni di Glenn Close e John Malkovich nel film del 1988 rievocando in parte lo spirito civettuolo della nobiltà francese del XVIII-XIX secolo e intervenendo attraverso i personaggi con una critica moderna nei confronti della storia. La marchesa infatti più che spietata come nello scritto di Laclos appare leggera e ironica nel modo di approcciare agli intrighi amorosi da lei stessi costruiti ed anche l'affascinante personaggio di Valmont si rivela determinato ma anche riflessivo. Ma soprattutto, Forman indaga sulle ripercussioni di ciò che compiono i protagonisti: l'amarezza in cui piomba madame de Turval e lo sconvolgimento emotivo di Cecile che diventa consapevole del grigiore della società in cui vive.

Una riflessione moderna calata in un'epoca passata. Precisamente una riflessione sui rapporti umani, sull'amore e sulla loro complessità. L'intera narrazione è imperniata intorno a questo continuo scambio di ruolo fra i personaggi, la vittima e il carnefice. Valmont sembra agire sempre da carnefice, ma è vittima dell'attrazione verso la marchesa a sua volta ridimensionata dalla sete di vendetta, dalla volontà di prevaricare sulle persone e sui sentimenti, anche i propri. Ottime le interpretazioni degli attori, su tutti figura Annette Bening che riesce a convincere come in "American Beauty" dove da il massimo di sé, leggermente a disagio Flirth . Il tutto condito da una resa impeccabile.

La bella scenografia di Pierre Guffroy fa da perfetta cornice agli intenti di Forman e si qualifica come eccellente ricostruzione storica degli antichi palazzi nobiliari abitati da un'aristocrazia svuotata di qualsiasi ruolo politico e priva di aspirazioni morali che si concentra in attività ludiche e di piacere per sentirsi meno annoiati, mentre il loro senso di vuoto continua a crescere, fra salotti rococò e sontuosissime camere da letto. I dialoghi e l'azione scenica sono inarrestabili e sanno intrigare. Tutto ciò non è riuscito a fermare la critica che si è abbattuta malignamente nei confronti dell'opera, talora mal interpretando il ruolo delle figure centrali del racconto, talora accusando il film di essere frammentario e inferiore se paragonato a quello di Frears. Ma i confronti servono a poco in questi casi, anzi esclusivamente a far sorgere equivoci sul suddetto lungometraggio dato che gli scopi perseguiti dai due registi sono diametralmente opposti.

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