Un film bellissimo. Un film sulle fragilità umane, sull'Italia, sulla natura inevitabilmente sensibile, buona, cattiva, egoista, prepotente, timida dell'uomo.
Insomma: un film su tutti noi. E l'ennesima prova che Mimmo Calopresti è uno dei pochissimi nomi che possiamo ancora vantare nel desolante ambiente cinematografico nostrano.
Girato in una Torino algida ed apparentemente freddissima (e quant'è bella, Torino...? se gli italiani se ne rendessero conto di più...), il film racconta di questo ragazzo, Rosario, che "sale" a Torino, in una comunità, e frequenta Matteo, figlio d'un immigrato che ha fatto carriera, si deduce non troppo limpidamente, nell'azienda del suocero. Il carrierista, gelido e perfetto, è Silvio Orlando, un attore che conferma anche in questo caso d'essere uno dei pochi giganti ancora attivi nel nostro povero paese (che, in quanto a cinema, non è certo messo meglio che in quanto a musica o letteratura...).
Come in tutti i veri grandi film, è difficile scorgere una figura completamente positiva (Kubrick ha fatto di questa caratteristica il suo marchio di fabbrica), anche se la simpatia del regista è evidentemente indirizzata a Rosario, ragazzo freddissimo ed apparentemente maleducato, del tutto chiuso in sé, ma che possiede un codice morale ed una voglia di cambiare che sembra solo non sapere o potere (e a volte voler) esprimere.
Silvio Orlando, manager raccomandato e prepotente, diviso tra una moglie che pare indifferente e un'amante che pare innamorata, è, come dicevo, un attore gigantesco, capace, come i veri grandi, di impersonare il buffone e lo spietato con la stessa naturalezza, oltretutto -non ce ne voglia- con una faccia/maschera che proprio non consentirebbe questa versatilità. L'eterogeneità dei suoi personaggi è esclusivamente figlia della sua mostruosa bravura.
Immagini perfette. Colonna sonora bellissima. Ritmo certo non americano, ma questo non è un problema, anzi: ritmi giustamente cadenzati e immagini sono sconnesse in montaggi isterici possono anche aiutare quell'attività quasi caduta in desuetudine che è il pensiero...
Produzione italo/francese del 2000.
Rosario scapperà da una Torino che troverà fredda, razzista e menefreghista, o che forse lui vede così (anche più di quel che è in realtà). Tornerà in Calabria perché, appunto, "preferisce il rumore del mare". Finale simbolico, con i ragazzi sulla spiaggia calabrese che, esprimendosi prepotentemente e solo in dialetto, lo prendono per il culo e gettano il libro che lui sta leggendo nel mare.
Rosario, sorridente, se lo va a riprendere e si mette a rileggere il suo libro, bagnato, al sole.
Il sud non è meglio del nord. Anzi. Ma è diritto di Rosario, bravissimo attore si spera simbolo di una gioventù esistente, cercare di cambiare le cose standosene a casa. Dove si è nati.
Dove c'è il mare.
Carico i commenti... con calma