Parliamo di cantautorato minore. O cosiddetto minore. E teniamo conto che per molti di voi già è insopportabile il maggiore. Per altri è del tutto indifferente o sconosciuto. E per altri ancora, come me, talmente innamorati del genere, c’è una specie d’indulgenza plenaria che scatta automatica, a volte del tutto immeritatamente –mi rendo conto…- nelle nostre povere menti piene di anni settanta, di beat generation da fratelli maggiori, di mito del cantautorame francese, delle parole che significano ancora qualcosa, e che è bello ricercare, scovare, mettere insieme per vedere l’effetto che fa.

Certo, Locasciulli è sempre stato un personaggio di culto. Mai conosciuto il vero successo di massa, qualche diritto d’autore messo in saccoccia più grazie alle cover degregoriane che grazie ai suoi dischi, un vecchio Sanremo con una gran bella canzone e un altrettanto vecchio (e bel) tour con Ruggeri. Poi tanti dischi confezionati per il piacere dei cultori, suoi e del cantautorato, forse minore. Per dare note di colore, forse del tutto irrilevanti, potremmo dilungarci sulla sua attività di medico, simile a quella del grande Jannacci. Ma il fatto che si sia laureato e che la sua laurea, come il buon Conte o il Prof. Vecchioni, abbia messo a frutto, è un dato come un altro, che ciascuno può valutare come può e come vuole.

Io, nel mio piccolo di laureato e di musico minuscolo, apprezzo e mi identifico quel poco che basta per goderne, sapendo benissimo che la cosa è tutt’altro che necessaria o pregio fine a se stesso. È solo bello sapere che c’è in giro gente dalla vita doppia, che è di per sé gente non settoriale o ottusangola, ma gente che sa godere del piacere e del dovere, mischiandoli e magari a volte confondendoli. Personalmente i dischi di Locasciulli li ho sempre seguiti e comprati. Dalle prime avventure alle collaborazioni col Principe. Dall’incipit cantautorale puro all’innamoramento folle per Tom Waits di “Tango Dietro L’Angolo” e, a tratti, anche delle opere successive, complici la chitarra di Ribot e il basso di Cohen. Che, si spera, con tutti proprio non accettino di suonare. Questo disco è senz’altro superiore al precedente e super-intimistico “Piano Piano”.

Qui si gode delle molte facce di Mimmo, dalla waitsianissima “Correre Baby” che apre il disco al ritornello marcato e quasi fossatiano di “Perso E Trovato”. Dall’inedito stile della title track, con un meraviglioso Frankie HI NRG ospite (una delle prime e riuscitissime unioni di generi sperimentate nel nostro paese) al blues-rock di “Aiuto!” con ospite Alex Britti nell’unica cosa che sa fare realmente bene, ovvero suonare la chitarra: il ragazzo, a dire il vero, se lo tieni lontano da un foglio (per comporre) e da un microfono (per cantare) sa fare realmente il suo mestiere…: peccato che spesso o sempre si scordi che il suo mestiere è quello, in fondo: quello di strimpellare veloce e tecnico tra le sei corde, eccellente tournista alla chitarra ed irrilevante/irritante cantautore. Io, se fossi Mimmo, ne avrei fatto anche a meno: a improvvisare con una bella pentatonica su un blues era meglio –e certamente più di culto…- un Roberto Ciotti, ad esempio…ma, tant’è…il risultato è gradevole, e questo basta.

Qui e là poi ci sono ballate gradevoli, alcune pianistiche e altre chitarristiche. Sempre a metà strada tra l’amico mentore De Gregori e l’idolo Waits. Fatto sta che il disco gira benissimo, è scritto e interpretato molto bene, e meriterebbe di consocere, almeno di lontano e per poco, una classifica di vendite. Invece lo produce un’etichetta minore (Hobo per Egea), viene distribuito pochissimo e le nostre radio, allineate e coperte, così solerti quando c’è da violentare le orecchie degli italiani con giganti alla nek-pausini-ferro-d’alessio, pare non sappiano neanche che è uscito.

Si sa…probabilmente nessuno spinge (…) questi prodotti, relegandoli, come il barbaresco o la culaccia, a un popolo di cultori e intenditori. Amen…: tanto è cantautorato minore. Forse.

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