Sul manuale del Brutal Death metal, dopo gli utilissimi suggerimenti su come tagliare il pollo arrosto in maniera orribile e fare vomitare tutti a tavola sera di Natale, c’è un capitolo dedicato ai problemi tecnici che comprende le FAQ (Frequently Asked Questions) e tutto il resto; una di queste domande è proprio “Cosa succede a volere copiare i Nile?” .

Anche se Debaser si autoproclama un sito libero mi è impossibile riportare testualmente la risposta perché, come c’è da aspettarsi, è in linea con la materia presa in esame, vale a dire molto ma molto Brutal; considerate quindi questa mia recensione come un rimaneggiamento (se non un eufemismo) di quanto detto ne “Il manuale del perfetto Brutal Death Metaller”.

Correva l’anno 2001 e questi quattro schizzati che provengono dall’Inghilterra erano rimasti molto affascinati da “Amongst The Catacombs Of Nephren Ka” e “Black Seeds Of Vengeance”, primi due dischi dei Nile, band nota all’intera specie Homo (mica tanto)Sapiens Brutallarensis per aver imbastardito il Death Metal con sonorità tipiche della terra dei faraoni.. Ora i nostri, che all’epoca suonavano in una qualsiasi maleodorante sala prove, devono aver pensato che tutto ciò era veramente da duri e così hanno riesumato il sussidiario e hanno scelto un popolo dell’antichità a caso per farne l’epicentro della loro proposta musicale; la loro scelta è caduta niente meno che sugli antichi romani, degradati da forza egemone del mondo antico a mezzo di un gruppetto da due soldi. Credo di non dover specificare che il loro intento finisce male, maledettamente male, tragicamente male e non di certo perché non possiedano le capacità tecniche necessarie: sì, perché questi qua sanno suonare molto bene e tutti quanti si impegnano per dare il massimo; il batterista, che rallenta e accelera come gli pare e piace e da vita a passaggi dalla notevole difficoltà, il chitarrista, che si diverte a smontare le scale dei Nile e a rimontarle in maniera diversa per non avere grane legali (ma che così facendo dimostra di saperci fare con la propria sei corde), il bassista, che è l’unico che svolge un lavoro minamene originale e incredibilmente preciso, e il cantante che mette su un piatto di argento il suo growling noiosissimo per rendere le canzoni aggressive ed evocative (potete immaginare con quale risultato).

Insomma, in fatto di perizia le critiche da avanzare sono proprio poche, ma sul piano compositivo i Mithras valgono zero, anzi, di meno perché copiano e copiano spudoratamente; non mi venite a parlare di nonchalançe perché questi non sanno cosa sia e si fanno prendere con le mani nel sacco. Ve li ricordate quei pezzi strumentali dei Nile suonati con gli strumenti caratteristici dell’Egitto e magari con qualche coro dietro? Bene, li ritroverete spiccicati in “Forever Advancing Legions” con la sola differenza che vengono eseguiti con delle tastiere, tanto per togliere qualsiasi velleità di contaminazioni etniche, e che non si capisce da dove diavolo le abbiano prese dal momento che spartiti latini non sono mai pervenuti. E se siete ancora tentennanti, ascoltatevi “Arena Sands”; quando arriverete al punto in cui si sente la folla che incita i gladiatori e le pianole che si arrampicano sui vetri per allungare la canzone, credo che vi verrà voglia di dare in pasto alle belve i Mithras al gran completo. Tuttavia, se fosse solo questo aspetto ad essere copiato dai Nile, potrei ancora accontentarmi di mettergli una nota sul diario, ma non basta: il riffing, gli assoli, le partiture di batteria e tutto il resto sono falsificati pedestremente, come quelle borse che si trovano al mercato che sembrano firmate e invece non lo sono e gli si stacca la fibbia. Non troverete un solo accordo che venga da quelle quattro testoline, non una rullata, niente di niente. E si che, lo ripeto, con le conoscenze musicali che hanno e delle quali forniscono prova non gli sarebbe poi tanto difficile tirare fuori qualcosa di buono.

Che sia amore cieco per questo tipo di sonorità o scarsa voglia di mettersi al lavoro poco importa, i Mithras sono una cocente delusione e non hanno capito che suonare in questa musica con i Nile come unico metro di paragone è come attaccarsi ad un’auto sportiva con la bicicletta. Si danno due casi; se amate i Nile e li considerate intoccabili e/o se volete tenervi lontano dal flacone del Lexotan per calmare imprevedibili attacchi isterici, evitate “Forever Advancing Legions”. Se invece amate i Nile ma volete fare gli gnorri, comprate pure questo album e, armati di un pennarello indelebile, scriveteci sopra “Nile” al posto di “Mithras” così ogni volta che lo ascolterete potrete fare finta che sia una rarità della band sopraccitata (che non è loro), godervi di gusto un loro introvabile disco (che non è loro) e avere una ennesima prova (non loro) di quanto i (non) Nile siano originali.

Spero che le mie soluzioni accontentino sia i nevrotici compulsavi sia gli psicotici e di contenere così i danni causati da “Forever Advancing Legions”; nel frattempo elaborerò dei nuovi metodi per neutralizzare anche “Worlds Beyond The Veil”, il loro nuovo album.

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