C'è un uomo che corre.

Ha l'aria di un perfetto clochard a cui mancano le risorse per permettersi qualcosa di più dignitoso di una camicia bisunta, un gilet raffazzonato e dei calzoni squarciati dal ginocchio in giù, ma ad esaminare con attenzione il goffo e dinoccolato incedere nella sua folle corsa si intuisce forse che la lunga barba è verosimilmente quella di un eremita che ha scelto di vivere nella foresta del Cheshire o nella selvaggia campagna cornica, perennemente inseguito o minacciato da qualche forza oscura che lo costringe a vagare senza meta. Ma la sua corsa in realtà sembra diretta verso un obiettivo: nel giro di pochi frangenti è sempre più vicino ai nostri occhi ed in men che non si dica si presenta col suo faccione grinzoso e l'incolta zazzera davanti allo schermo, apparentemente in grado di preservare l'ultimo respiro per rivolgerci un profetico annuncio. Sta per parlare. Cosa dirà? Sarà forse una rivelazione o un monito per le future generazioni? Un piccolo tentennamento e poi, in un silenzio surreale, le sue parole: "It's". Poco meno di due parole compiute, un paradosso linguistico che di fronte a una tanto ieratica preparazione sembra essere lo strumento di chi si vuol prendere gioco dello spettatore in attesa come minimo di una profezia sul prossimo futuro. Ma quell'"It's", in realtà, è il principio solenne di una delle prove di orchestra più geniali della storia della comicità, essendo l'incipit puntuale degli episodi della serie del Monty Python's Flying Circus che ebbe in sorte di allietare per un lustro abbondante (1969-1974) l'esigente pubblico inglese dal celebre humour colmo di venature sarcastiche. Nel sentire quel monosillabo pronunciato con un fil di voce da questo presunto barbone, spesso a coronamento di una corsa corredata di inciampi e goffe cadute, è quasi naturale tradire un sorriso per un ancestrale senso di solidarietà nei confronti di questo povero diavolo che sembra la vittima predestinata di una libagione attoriale ove la parte più infelice per strappare qualche risata è toccata all'agnello sacrificale. Occhi chiarissimi e l'espressione buona di un vitellone mansueto: è Michael Palin, il più bonaccione e amabile dei sei terribili inglesi che rivoluzionarono in maniera radicale la storia della comicità mondiale. Vogliamo bene a Michael per quell'aria da cane bastonato che caratterizza tutti i suoi personaggi e che è il riflesso di una personalità realmente timida e poco incline alla prevaricazione. Gli vogliamo bene per la goffa timidezza che contraddistingue il signor Pither che si ritrova in un lungo sketch della terza serie a dover fronteggiare un plotone di esecuzione per aver assecondato e portato sulla sua bici un folle compagno di viaggio convinto di essere la reincarnazione di Trockij. In occasione della "42ª Grigliata Internazionale" il sedicente Trockij, interpretato dal grande amico e compagno di sketch Terry Jones, si fa burla della Russia tutta attraverso un balletto irriverente, ed ecco che il buon Pither si ritrova in men che non si dica di fronte a cinque fucili puntati addosso. Dopo essere scampato miracolosamente all'esecuzione, si addormenta nella cella e si risveglia seduto nel giardino di casa con la madre - una esilarante versione al femminile di Eric Idle - a prendersi cura di lui.

"Come on, dear, wake up, dear!"
"Mama!"
"Come on, dear!"
"So... it was all a dream!"
"No, dear... this is the dream: you are still in the cell!"

Sipario.


C’è la sala di un ristorante a tre stelle.

Un uomo (Graham Chapman) e una donna (Carol Cleveland) siedono lieti ad un tavolo in attesa di ordinare. Compare un cameriere dall’affettato accento francese (Terry Jones) che consiglia i due avventori sulle specialità della casa e nel ritirare i menu viene informato dal cliente della presenza di una forchetta sporca sul tavolo. Da questo momento in poi tutto precipiterà grottescamente per mezzo di una smisurata amplificazione dell’incidente, costringendo prima il capo cameriere (Michael Palin), il direttore (Eric Idle) e il cuoco (John Cleese) a comparire sulla scena per scusarsi dell’accaduto. Il tutto finirà con l’improvvisa morte del capo cameriere per il riacutizzarsi di una ferita di guerra alla testa, l’harakiri del direttore tramite l’incriminata forchetta sporca conficcata nel petto e il miracoloso intervento del cameriere che salta addosso al cuoco proprio mentre quest’ultimo è in procinto di colpire con una mannaia i due attoniti clienti seduti al tavolo. In questa meravigliosa prova d’orchestra in cui tutti i Monty Python sono presenti come raramente accade – il solo a mancare è Terry Gilliam, come di consueto impegnato dietro le quinte nel suo lavoro di vignettista – v’è tutta la poetica delle maschere impersonate dai talentuosi cabarettisti inglesi, se si pensa al consueto servilismo di Palin che inizia a insultare la “disgustosa” forchetta di fronte ai commensali per esternare il suo senso di imbarazzo e all’abituale gigionismo di Eric Idle nel ruolo del direttore, con elegante abito scuro, camicia con i gemelli e pochette mentre con parlare forbito e suadente spiega ai due malcapitati avventori i retroscena di una gestione piena di problemi prima di abbandonarsi ad un pianto delirante per l’increscioso incidente della forchetta. E poi c’è John Cleese, forse il più noto dei sei inglesi per le sue partecipazioni a pellicole al di fuori del mondo Python (memorabile la sua interpretazione nei panni dell’avvocato Archie Leach in “Un pesce di nome Wanda”), puntualmente calato nella parte di un cattivo tenente pronto a usare le armi contro chi impersona, a suo modo di vedere, la parte del “dissidente”. Eccolo nei panni del cuoco Mungo, in una memorabile entrata in scena in cui urla: “You, bastards!” a Chapman e consorte rei di aver umiliato a suo modo di vedere il povero Idle in preda ad un pianto disperato. Quella mannaia lanciata sul tavolo è il leitmotiv dei suoi personaggi spesso violenti e autoritari (in un altro memorabile episodio della prima serie pensa bene di fare una dimostrazione di “autodifesa contro la frutta fresca” sparando all’inconsapevole Chapman mentre quest’ultimo lo assalta armato di una banana), riflesso, a guisa di perfetta simbiosi tra arte e vita, di un carattere spesso rigido e intransigente, tanto da abbandonare la fortunata serie del Flying Circus alla fine della terza stagione ritenendo la vena creativa del gruppo inevitabilmente esaurita: la mutilata quarta stagione, con soli sei episodi, risentirà pesantemente dell’assenza dei suoi personaggi dall’umore sarcastico e dissacrante. Il suo contraltare è l’avventore Graham Chapman, l’amico e compagno di redazione degli sketch come lo è Terry Jones di Michael Palin, a suo agio nei panni di un flemmatico cliente che cerca di gettare acqua sul fuoco involontariamente appiccato per le rimostranze sulla forchetta sporca, perfetta metà di una coppia che non poteva essere meglio assortita: puntiglioso e autoritario Cleese, stravagante e incline al vizio (del bere) Chapman. I copioni degli sketch redatti da Cleese, generalmente ben strutturati e già divertenti, vengono rivisti da Chapman per conferire quella componente eccentrica e spesso grottesca che fa precipitare gli eventi in un crescendo di comicità surreale. Un assortimento perfetto. È a Graham che tocca l’ultima memorabile battuta dello sketch del ristorante, quando ormai tutti gli altri personaggi giacciono a terra esanimi:

“Luckily we didn’t say anything about the dirty knife!”

È la famigerata “punch line”, la battuta finale richiesta in tutti gli sketch comici di oggi come di allora. Cleese la considerava un espediente insopportabile e non a caso in questo sketch ove fa la sua comparsa per la prima e ultima volta, viene messa in evidenza attraverso un disclaimer che ne annuncia l’arrivo e viene puntualmente dileggiata da un finto pubblico che ne disapprova l’utilizzo.

In realtà, anche nel parossismo che contraddistingue questo coup de théâtre, i Monty Python colgono nel segno strappando la più fragorosa delle risate.


C’è una piccola confezione di carne in scatola.

La carne in scatola Spam fu la maggiore fonte di nutrimento per i soldati delle forze alleate durante la Seconda Guerra Mondiale. Creata dalla statunitense Hormel nel 1937, si trattava di un preparato a base di carne mista di pollo e maiale ad alto contenuto proteico, perfetta per un pasto veloce che non richiedesse alcuna forma di cottura. In un episodio della stagione 2 del Flying Circus, ecco arrivare una coppia di signori – per la verità calati dall’alto come se fossero burattini – in uno strano locale popolato da euforici vichinghi e governato da una querula banconiera dal trucco pesante. I due avventori, Graham Chapman in parrucca e rossetto nella parte della moglie ed Eric Idle con cappello e giacca nera nelle vesti del marito, chiedono informazioni sul menu, al che la gracchiante barista, impersonata da un Jones sopra le righe, si scatena nella lettura di una serie di piatti in cui inevitabilmente è presente la fatidica carne in scatola in quantità che suggeriscono un uso smodato e paradossale:

“Egg and bacon
Egg, sausage and bacon
Egg and Spam
Egg, bacon and Spam
Egg, bacon, sausage and Spam
Spam, bacon, sausage and Spam
Spam, egg, Spam, Spam, bacon and Spam
Spam, Spam, Spam, egg and Spam
Spam, Spam, Spam, Spam, Spam, Spam, baked beans, Spam, Spam, Spam and Spam
Lobster Thermidor aux crevettes with a Mornay sauce, garnished with truffle pâté, brandy and a fried egg on top, and Spam.”

L’attempata signora al tavolo è infastidita e cerca un piatto senza Spam, ma alla domanda se può avere “egg, bacon, Spam and sausage without Spam” viene respinta con un gesto di disgusto dalla banconista che le nega la possibilità di eliminare la Spam dal piatto. Idle rabbonisce la moglie dicendo che mangerà lui la Spam lasciata dalla sua signora e prenderà dal canto suo un piatto di “Spam, Spam, Spam, Spam, Spam, Spam, baked beans, Spam, Spam, Spam and Spam”. Lo sketch si conclude col canto euforico dei vichinghi che inneggiano alla Spam e uno stralunato Cleese che entra in scena blaterando parole in un inglese incerto e contribuendo anche lui alla cantilena dello Spam con un altro elenco di pietanze a base della fatidica carne in scatola.

Ora è un dato di fatto che l’origine dell’attuale termine “Spam” per designare la posta elettronica indesiderata sia da ricercare in questo breve e geniale sketch dei Monty Python: la ripetitività della pietanza in tutti i piatti del menu dello strambo locale frequentato dai vichinghi trasforma la Spam in un oggetto indesiderato e fastidioso, nonostante i disperati tentativi dell’attempata signora al tavolo di prendere qualcosa che non contenga l’onnipresente carne in scatola dall’alto contenuto proteico. Quando l’influenza culturale di un gruppo di artisti supera i confini del proprio ambito di azione, è inevitabile pensare che la loro opera abbia dei meriti che trascendono il solo scopo basilare per il quale la loro arte esiste ed è tramandata ai posteri. I Monty Python in questo favoloso esercizio di stile furono inconsapevoli onomaturghi nella misura in cui inventarono il termine “Spam” con l’accezione che tutti conosciamo oggi riferita al mondo delle telecomunicazioni e meritano di stare nell’Empireo ove albergano gli artisti che si ammantarono del medesimo merito di forgiare la lingua come Shakespeare, D’Annunzio e Federico Fellini. Al pari di Prometeo hanno rubato il fuoco agli Dei per donarlo all’umanità, ma al contrario dell’illustre figlio di Giapeto, quando Zeus si accinge a punirli con l’intenzione di incatenarli ad una rupe, fuggono via tra schiamazzi e gesti di scherno, giacché nessuna forza immanente o trascendente può spegnere il sacro fuoco dell’irriverenza che vive in loro.


C’è un piede.

Dalle dimensioni imponenti e dalla linea tutt’altro che sinuosa, è destinato a schiacciare inesorabilmente le vivaci animazioni della sigla di apertura del Monty Python’s Flying Circus con un impeto dissacrante che evoca le velleità distruttive della comicità del gruppo inglese. Sempre uguale a se stesso e puntualmente presente in ogni stagione, praticamente un marchio di fabbrica dei Pythons tanto da diventare forse lo sphragis più celebre dei sei terribili inglesi. Quell’enorme piede dalla tozza curvatura non è il parto originale di un animatore dalla spiccata sensibilità feticista, ma un colto e geniale prestito dall’abbacinante “Allegoria del trionfo di Venere” del Bronzino ove l’estremità dell’arto appartiene a un lascivo Cupido intento a stuzzicare il niveo seno della dea dell’amore. C’è, in questa geniale trasposizione, un ingegnoso intento di riposizionare l’arte in un contesto in cui alto e basso si scambino i ruoli creando un corto circuito estetico in cui la sinuosa bellezza dei corpi avviluppati di un capolavoro del Manierismo, mutilata e delocalizzata nell’ambito grottesco e dissacrante delle animazioni pythoniane, si trasforma in una becera e triviale pressa che distrugge tutto evocando il suono di una molle pernacchia. Il deus ex machina è Terry Gilliam, il “Monthy Python invisibile” che si distinse più per il ruolo di regista (sua la direzione di “Monty Python e il Sacro Graal” insieme a Terry Jones e di molte altre celebri pellicole con o senza i commilitoni inglesi) e vignettista delle sigle e degli intermezzi del Flying Circus. Gilliam è l’unico membro del gruppo nato negli USA ma inglese di adozione dopo i tanti anni passati nel Regno Unito a fianco dei Pythons, e questa sua particolarità sembra quasi dover determinare un elemento di necessaria differenziazione rispetto a Chapman, Cleese, Idle, Jones e Palin, essendo il proverbiale humour inglese una dote innata difficilmente tramandabile da soggetto a soggetto e quindi fisiologicamente distante dal cartoonist di origini americane. A Gilliam tocca quindi in sorte un lavoro diverso ma parimenti importante e se certo le abilità recitative non lo mettono al pari degli altri Python (davvero rare le sue apparizioni negli sketch del Flying Circus), con i colleghi inglesi condivide una dote preziosa che rende elevata la sua arte di vignettista: la profonda e raffinata cultura delle arti antiche e moderne. Ciò spiega perché quell’imponente piede distruttore debba le sue origini a Bronzino e perché nelle vignette di Gilliam sfilino sempre puntualmente delle preziose fotografie vittoriane frammiste a surreali versioni animate di celebri opere d’arte come La "Nascita di Venere" di Botticelli e il "Pensatore" di Rodin. Attraverso la potenza di un linguaggio visivo che mescola animazioni originali con immagini tratte dal reale, Terry Gilliam è riuscito, al pari dei dotti compagni di giochi figli di Albione, nell’invidiabile impresa di generare il comico attraverso l’espediente della cultura.


C'è una commemorazione funebre.

È il 3 dicembre del 1989 e i Monty Python sono riuniti per ricordare la perdita dell'amico Graham Chapman, morto appena due mesi prima per l'esito infausto di un cancro alla gola. L'atmosfera è permeata di una tenue malinconia, con i Pythons ancora non del tutto capaci di elaborare il lutto per il giovane collega e amico scomparso a soli 48 anni, ma consapevoli di doverne tramandare un ricordo che, in perfetto accordo con il loro proverbiale stile scanzonato, non indulga a piagnistei e commiserazioni. Così John Cleese prima e Michael Palin dopo ricordano Graham con delicata spensieratezza strappando qualche piacevole risata al pubblico dei familiari e degli amici riunitisi al St Bartholomew's Hospital di Londra. I loro elogi sono pieni di parole argute e lusinghiere per il compagno di mille sketch ed è particolarmente esilarante il momento in cui Cleese confessa di aver ricevuto in sogno un'apparizione dello stesso Chapman che gli avrebbe chiesto di essere il primo a pronunciare in una commemorazione inglese la parola "fuck". Il pubblico apprezza e ride con discrezione. Eric Idle è l'ultimo a prendere la parola: dopo aver lasciato salire sul palco gli altri Pythons insieme con altri amici e conoscenti di Chapman, torna con la mente e con la voce a dieci anni prima, quando nei panni di uno spiantato ladrone si trovava a dover consolare l'amico Graham, nelle vesti del giovane giudeo Brian Cohen erroneamente scambiato per Gesù e per questo punito con la crocifissione nel celebre "Monty Python's Life of Brian" diretto da Terry Jones, ricordandogli di dover sempre esorcizzare i momenti peggiori della vita fischiettando un motivetto. Insieme con gli amici saliti sul palco intona "Always Look on the Bright Side of Life".

"Life's a piece of shit
When you look at it
Life's a laugh and death's a joke, it's true
You'll see it's all a show
Keep 'em laughin' as you go
Just remember that the last laugh is on you
And always look on the bright side of life
Always look on the right side of life"

La performance di Idle e degli altri Pythons assume adesso, a distanza di dieci anni da quel grottesco ed esilarante guazzabuglio che fu "Life of Brian", le sembianze di un amichevole e commovente saluto all'amico che non c'è più. Il memoriale si conclude con le ultime dissacranti parole di Idle che si arroga il diritto di essere, dopo Cleese, "the last person in this meeting to say 'fuck'".

Da quel giorno di dicembre del 1989 sono passati più di trent’anni e i Pythons hanno vissuto nel 2020 un’altra dolorosa perdita, quella di Terry Jones, a seguito di una rara malattia neurologica. Probabilmente, se le età ormai avanzate lo avessero consentito, i quattro superstiti inglesi avrebbero reso onore all’amico perduto attraverso un’altra memorabile commemorazione funebre. E l’avrebbero eseguita nel medesimo stile. Sì, giacché oggi come allora, nel constatare l’eterno spirito carnascialesco di questi sei grandi artisti inglesi, la riflessione più naturale non può che essere questa: a dispetto della tanto ostinata ricerca del misterioso "Meaning of life" su cui i Monty Python si interrogarono nel corso della loro vita artistica arrivando al punto di dedicare ad esso un intero film, forse il senso della vita è proprio lì, nel prendere atto che non c'è nessun senso se la vita è una bella merda, ma anche nel giorno in cui qualcuno verrà a celebrare il tuo funerale, "guarda sempre il lato positivo della vita".

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