Solitamente, il 1994 non è considerato il periodo d’ oro di Morrissey; sebbene in quell’ anno abbia piazzato il suo unico singolo nella top 50 della classifica di Billboard (la trascinante “The More You Ignore Me, The Closet I Get” ) e abbia raggiunto il primo posto nelle charts anglosassoni, il suo nome continua inevitabilmente a rievocare gli anni ’ 80 targati Smiths, o al massimo i suoi inizi da solista, con una serie di singoli di successo, il sold-out in 23 minuti alla Hollywood Bowl e lo scandalo del Finsbury Park a cui seguirono le note accuse di razzismo da parte dell’ Nme. Eppure, ascoltando questo disco, non si può fare a meno di notare la maturità raggiunta dai testi, mai così profondi (finalmente non troppo ancorati a tematiche tardo-adolescenziali e sempre meno diretti), e la raffinatezza delle composizioni di Boorer e Whyte, capaci di mettere su dei brani di un pop rock maturo e mai banale.
L’album, grazie anche alla mano del produttore Steve Lillywhite (già con gli U2), risulta estremamente compatto ed omogeneo, ed un’atmosfera di elegante malinconia pervade l’ intero disco, come si intuisce fin dalla intensa opening-track, “Now My Heart Is Full” . Le uniche canzoni che spezzano l’andamento sommesso e cupo del disco (il già citato singolo “ The More You Ignore me… ” e “ Billy Bud” ) rimangono pezzi pregevoli, ma perdono fascino in mezzo a tracce intrise di pathos quali quelle che li circondano. Morrissey ci canta del valore dell’ amicizia (“Hold On To Your Friends” , “Speedway” ), della sua incapacità d’amare (“I Am Hated For Loving” ), dell’ importanza di trovar se stessi (“Why Don’ t You Find Out For Yourself” ), e si mostra abile cantastorie in quadretti narrativi sotto forma di canzone in pezzi quali “Lifeguard Sleeping, Girl Drowning” , “ Billy Bud” e “Spring-Heeled Jim” .
Musicalmente l’album si discosta sia dalla sua precedente produzione che dal grunge e dal brit-pop allora imperanti; le chitarre non graffiano mai, anzi cercano delicati arpeggi e confortevoli melodie su cui Morrissey poggia con destrezza la sua voce, mai tanto calda, e richiamano talvolta armonie da pop da camera anni ’ 60 (“The Lazy Sunbathers” , “Used To Be A Sweet Boy” ). In definitiva, questo è il picco più alto della carriera di Morrissey da solista, un disco splendido, intenso e a tratti commovente. Forse non il migliore per conoscerlo, ma senz’ altro il migliore per apprezzarlo.
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