Sabato 23 luglio 2016, seconda serata di «Muso 2016 – Live Music & Comics».

Sono nel panico più totale, mi ha appena telefonato la seconda morosa della seconda serata e mi ha scaricato.

Non posso presentarmi ad un evento scompagnato, non esiste.

Per fortuna comincia a piovere, io intimamente spero in una riedizione del grande Diluvio Universale, così la serata è annullata, io me ne resto a casetta a vedermi un filmetto con Stanlio e Ollio e mai nessuno verrà a sapere dell'onta arrecata.

Ma poi mi dico che sono Pinhead e non può essere certo il rifiuto di una morosa a tenermi lontano da una scatenata notte di rock'n'roll. Per cui, metto in pratica una lunga ed estenuante sessione di training autogeno fatta di meglio solo che male accompagnato, chi non mi ama non mi merita, chiusa una porta si apre un portone e poi il mare che è pieno di pesci.

Ci vado, decido alla fine, solo ma ci vado!

E ci vado cenato, solo per il gusto di ribaltare DeMa.

Mi precipito fuori di casa, balzo sulla Cortina col serbatoio ricolmo di benzina, e di nuovo sfreccio verso Oriolo, che è Romano ma sta in provincia di Viterbo e vuoi mettere la soddisfazione di affrontare un viaggio interprovinciale per assistere a tre concerti?

Ad Oriolo trovare parcheggio è un'impresa e stasera che è sabato ed il borgo pullula di vita mi tocca parcheggiare ancora più lontano, quasi il doppio di ieri. Avvicinandomi alla piazzetta, noto che un maggiolino mi ha proditoriamente scippato il posto di ieri, sarebbe bellissimo tirare fuori la chiave per rigargli la fiancata ma passo oltre; e dopo venti minuti, dieci dei quali trascorsi piegato in due sulla salitina per riprendere fiato, arrivo a varcare i cancelli.

La solita splendida accoglienza fatta dei semplici aromi di salcicce, bisteccone, arrosti vari e rosmarino mi si ripropone anche questa sera, ma sono venuto già cenato – così ribalto ancora DeMa – e mi dirigo spedito ad accovacciarmi sotto al palco.

Sopra ci stanno due degli Eventide, che si pronuncia Iventaid diversamente da come si scrive, e stanno ultimando le prove. Teribbile! Pare Angelo Branduardi convertitosi al brutal death THRASH metal, robba da GenitalGrinder, per cui mi risollevo dall'accovacciamento, mi allontano e mi posiziono defilato sul bordo rialzato della piazzetta dove reazionari borghesi e capitalisti libagionano allegramente, consultano freneticamente il loro aifon e se ne fottono beatamente dei concerti, mentre i vecchietti indigeni sono usciti di casa armati di panchetti da seduta per scambiare quattro chiacchiere, sempre meglio che buttare la fine della giornata davanti al televisore; loro mi stanno simpatici a pelle, per cui chiedo ospitalità e me la concedono senza pensarci due volte, ed eccomi comodamente assiso su un panchetto di legno in attesa di una scatenata notte di rock'n'roll.

Sono le 21.45 e salgono sul palco gli Eventide, che si pronuncia Iventaid, vengono da Viterbo, per cui giocano praticamente in casa ed hanno un discreto seguito sotto al palco dove fino a qualche minuto prima stavo io, «... sono una band di musica Folk Epica a tema mitologico e fiabesco. Si uniscono nell'estate del 2014. [A] Giugno 2016 è … [uscito] “Racconti del crepuscolo” primo Ep autoprodotto ...». Che il folk epico fosse la versione metallara di Angelo Branduardi lo temevo, partendo da casa, ma non fa assolutamente niente, perché intanto è salita sul palco anche uno schianto di violinista con un completo giacca e pantaloni corti da infarto che quando mi sono accovacciato sotto al palco c'era mica. Allora, è d'uopo salutare i vecchietti che mi hanno ospitato, augurare loro felicissima serata e ritornare a guadagnare le posizioni di avanguardia, folk epico o meno; e confermo che, pure da vicino, la violinista è carinissima. Anche qui, non mi chiedete i titoli dei brani, ne ricordo solo un paio: uno è «Linceo», strumentale nel quale ad una certa il cantante si mette ad urlare «Linceo, Linceo, Linceo» con un growl da paura e pure sotto al palco si poga abbestia e tutti urlano «Linceo, Linceo, Linceo»; ed «Essere Icaro» che mi sa che narra del povero Icaro che volle volare ma si fracassò al suolo. Comunque, ho linkato i video dei due pezzi e, riascoltandoli pure io nella versione studio, non sono mica metallari, per cui mi sa che i tecnici del suono stanno facendo un lavoro abbastanza a schifìo, perché a me più che al Muso, tra ieri ed oggi, mi sembra di essere piombato al Gods Of Metal. Comunque, i ragazzi ci si mettono d'impegno e con simpatia, la violinista è sempre carinissima e canta pure, fanno due cover – «Volta La Carta» ed «Impressioni Di Settembre» – in chiusura rifanno «Linceo» e di nuovo tutti a pogare abbestia urlando «Linceo, Linceo, Linceo», il concerto finisce e gli Eventide barra Iventaid salutano. Bene, bravi.

Pausa.

Me ne vado al baretto per un bicchierino di acqua gassata, il barista mi dà un'occhiata pietosa e butta là un commiserevole «Tutta vita tu, eh?», ma se lo può permettere perché lo conosco e sono solo, per cui non faccio brutta figura con nessuno; comunque, per ripicca non pago la consumazione, minacciandolo simpaticamente di riferire al padrone che ha insultato un cliente insigne. E me ne torno sotto al palco.

Tocca ai Venus In Furs, che già dal nome so che saranno i migliori della serata. Vengono da Pisa e «... “Carnival” è il loro nuovo album. Un disco in cui si passa dal rock di matrice americana al cantautorato italiano di qualità e, da questo, al pop, snocciolando canzoni di rara potenza anthemica, mai banali, da cantare spudoratamente ad alta voce …». In effetti sono molto bravi, credo di essere di fronte al primo gruppo “vero” della manifestazione, e si nota anche da come tengono il palco e come si atteggiano: notevole l'ingresso, con il batterista che entra in solitaria e per un minuto pesta sui tamburi come un dannato fino all'entrata degli altri due musici. Cantante/chitarrista in frac e maniche di camicia, bassista in elegante completo giacca e cravatta, il batterista che presto rimane a torso nudo, i Venus In Furs suonano riff chitarristici schiacciasassi e feedback costante, batteria e basso che avanzano a passo di carica, musica pesante all'incrocio tra Marlene Kuntz, Afterhours e Verdena, anche se poi, alla fine del concerto, quando domandano a noi del pubblico se abbiamo delle richieste, ci ammoniscono di non azzardarci a chiedere pezzi di quegli stessi gruppi; io, per non saper né leggere né scrivere, urlo senza ritegno «Cretin Hop» ma o non mi sentono o non mi si filano di pezza oppure mi sentono ma non la sanno suonare. E finalmente si poga per davvero, per un po' partecipo anche io e per quel poco conosco Giuseppe, Loredana e la loro bellissima bambina che a pogare è la più scatenata di tutti, benedetta gioventù. Come reporter, però, sono una frana per cui vi dico solo di «Non Mi Rilasso», «Anita Così Non Vale» che mi acchiappa fin da subito perché mi riporta alla mente «Così non Va Veronica» di Bennato, e questa «Leggins» che sarò scemo ma per me ha tutte le carte in regola per farsi strada. Molto, molto bravi, lo riscrivo ancora; l'unico appunto è, per dirla con Finardi, che qui da noi in fondo la musica non è male, quello che non regge sono solo le parole, nel senso che io questi testi non li capisco proprio e se fossero in inglese non li capirei ugualmente ma mi entusiasmerei molto di più per i summenzionati Marlene Kuntz, Afterhours e Verdena e filiazione assortita. Dei Venus In Furs, su iutiub si trova abbastanza robba, me la sono sentita e confermo appieno le sensazioni positive del concerto.

Altra pausa, questa volta me la sfrutto tutta perché tre minuti di buon vecchio pogo mi hanno tagliato il fiato, per cui vado al baretto con Giuseppe e Loredana e bimbetta e questa volta il barista mica ci prova a fare commenti sarcastici sul mio conto. Io, che in fondo in fondo sono un buon diavolo, pago per tutti e pago pure il bicchiere d'acqua scroccato in precedenza, così finanzio la causa e nel 2017 ci sarà ancora la tre giorni del Muso ed io tornerò a raccontarvela.

Giuseppe e famiglia sono sardi, abitano vicino Roma, dove lavorano e stasera sono venuti ad Oriolo per vedere il concerto dei Train To Roots; mi costringono a rimanere, anche se è mezzanotte, perché se non li conosco, questa è l'occasione giusta per farlo ed apprezzarli. Mi fido, perché hanno faccine simpatiche e magari resto sveglio fino all'una; così torno sotto al palco, però pogare non pogo più, manco se salissero su gli Avengers.

Allo scader dell'ora eccoli, i Train To Roots: questi ce l'hanno per davvero i dreadlocks. Sul sito internet dell'evento, su di loro trovate che vengono da Sassari e sono «... caratterizzati da live esplosivi, hanno mantenuto un mix particolare di stili e lingue, in cui trovano spazio le varie sfumature della musica giamaicana e della black music con testi impegnati e divertenti in italiano, sardo e inglese ...»: a posteriori, confermo tutto, e grazie a Giuseppe e Loredana e bimba che mi hanno consigliato di restare. Comunque, se hanno i dreadlocks quindi fanno reggae – mi dico tra me e me – ritmi tranquilli, non si poga, mi rimetto a sede' e passo un'altra oretta all'aria aperta che fa sempre un gran bene. Infatti, attaccano a suonare, musica bella tranquilla, classico reggae strumentale mischiato a dub, posso chiudere gli occhi e rilassarmi in santissima pace. Quando poi, all'improvviso, salgono sul palco accolti da una specie di ovazione due figuri che i dreadlocks ce l'hanno pure loro e cominciano a saltare e correre mentre sputano fuori un mischione assurdo di italiano, dialetto sardo ed inglese, che gli occhi me li riapre all'istante e mi sento premere alle spalle ed ai fianchi; mi ritiro su e ci stanno Loredana e Giuseppe con tanto di bimbetta in spalla che hanno preso ad ondeggiare ed agitare le braccia. Ma fossero solo loro … In due minuti la piazzetta di Oriolo è riempita da centinaia di persone che ancora mi sto chiedendo da dove siano saltate fuori, tutte lì ad ondeggiare ed agitarsi pure loro. Mi hanno preso in mezzo, mi tocca di ondeggiare e di agitarmi anche solo spinto dall'inerzia della massa, e di tornare dai miei amati vecchietti a sedermi sul panchetto perdo la speranza, per il momento, ma resto con tutti i sensi all'erta per cogliere la prima occasione di sgattaiolare via senza farmi notare. Ma hai voglia ad aspettare, questi sono delle macchine da guerra, non si fermano mai, infilano un brano dopo l'altro senza una pausa, è un tappeto sonoro ininterrotto, sono i Ramones del reggae; anzi no, sono peggio dei Ramones, almeno i fratelli tra un brano e l'altro ci piazzavano l'immancabile «One-Two-Three-Four». Un'ora e mezza a ballare e cantare, non ho idea di cosa abbia ballato né cantato, ad una certa intuisco «Police Gun» ma sono talmente arrivato che penso sia partita la cover di «Police And Thieves» e vado completamente in fusione.

Alla fine resta solo la sensazione bellissima di una condivisa moltitudine mai vista ad Oriolo, gli abbracci con Giuseppe e Loredana ed il bacetto alla loro splendida bambina e la speranza che prima o poi ci si incroci di nuovo, ed io che me torno solo verso la Cortina, sorridendo come uno stupido e mormorando tra me e me, ca##o, oh ca##o, oh ca##o, ca##o, che botta, fino a quando non rientro a casa che è già oggi e mi metto ad ascoltare «Bankrobber».

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«Lei ripete spesso ca##o» dice una Kim Basinger mai tanto bella a Russel Crowe.

«E lei conosce bene lo strumento» risponde Russel Crowe ad una Kim Basinger mai tanto bella.

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