Può sembrare strano, ma se avesse trovato il giusto canale per far presa sul grande pubblico la scena tedesca della musica cosmica avrebbe a suo tempo avuto lo stesso impatto e la stessa importanza del punk inglese. I presupposti, d'altra parte, erano più o meno simili: se nel Regno Unito due stilisti decisero di imporre insieme ad una musica anche uno stile di vita e di pensiero, in Germania era stato Rolf-Ulrich Kaiser, influentissimo talent-scout, produttore e critico musicale, a tentare la stessa cosa con i suoi corrieri cosmici, tutti legati alla sottoetichetta "Kosmische Musik" della Ohr, da lui controllata. Anche nel suo caso, la musica doveva farsi veicolo di un preciso stile di vita, basato sulla meditazione trascendentale, l'uso sistematico dell'LSD e la personale devozione agli abissi spazio temporali, i cui pionieri erano lui e la moglie Gille Lettmann (conosciuta anche come Sternenmädchen, ovvero la ragazza delle stelle). Ovviamente il suo progetto era molto meno fruibile del punk, e di fronte a guai di ogni genere (dall'uso improprio di registrazioni più o meno ufficiali montate ad arte dallo stesso Kaiser - è il caso dei Cosmic Jokers - al burrascoso rapporto con la legge tedesca) il sogno di Kaiser si infranse nel giro di un paio d'anni.

Quest'album dei Mythos, datato 1975, potrebbe rappresentarne una sorta di canto del cigno, testimoniando comunque la ricchezza della proposta e la sua squisita eterogeneità. Confluivano, infatti, nei corrieri cosmici influenze e suoni fra i più disparati, dall'elettronica trascendentale in stile primi Tangerine Dream al funky alla psichedelia. Di questa scena multicolore, i Mythos hanno forse rappresentato la componente più legata al rock sinfonico dell'epoca, senza dimenticare una spruzzata di folk-rock. L'impressione, abbastanza sorprendente, è quella di trovarsi davanti ad un'ipotetica formazione dei Jethro Tull che, più o meno ai tempi di Aqualung, avessero deciso di prendere in formazione Connie Veit dei Gila alle chitarre e Klaus Schulze per gli orpelli elettronici. Il risultato non è certo definibile come pietra miliare del rock, ma i primi due album dei Mythos sono comunque un ascolto piacevole e coinvolgente.

"Dreamlab", secondo album della band, si apre con la cosmica "Dedicated to Werner von Braun", sei minuti di pulsazioni per chitarra, basso e piatti che si pone a metà strada fra gli Ash Ra Tempel e i Popol Vuh, ma è con la successiva "Message" che si arriva ad una sorta di manifesto della proposta sonora dei Mythos, con i suoi pregi e i suoi difetti: fra i pregi l'uso atmosferico e straniante dell'elettronica nella prima parte e la dinamicità quasi aggressiva della seconda, maggiormente riconducibile ai canoni del prog rock, guidata da un vero e proprio riff di flauto anticipato dal gruppo che canta a cappella (sembra di sentire un'eco degli Embryo). Fra i difetti, sicuramente la voce, decisamente debole e, verrebbe da dire, "birrosa", e gli scontatissimi testi, che girano intorno al concetto di fratellanza cosmica e l'idea che i nostri progenitori vengano da Sirio (sic!). Le capacità compositive della band, comunque, non sono affatto disprezzabili, tanto che la successiva, epica "Expeditions" potrebbe candidarsi come definitiva ballata cosmica, con il suo bell'uso della chitarra acustica e i delicati assoli di flauto e chitarra elettrica (se poi si prova ad immaginare il brano cantato da qualcun altro, sicuramente gli si aggiunge altro valore).

L'album entra in territori maggiormente bucolici, come testimoniato dalla breve "Mythalgia", intervento per chitarra, mellotron, flauto e synth che anticipa clamorosamente certi passaggi acustici degli Iron Maiden, subito interrotti dalla title track, dove il flauto scandisce i passi verso una vertiginosa impennata psichedelico-funky, dove i synth gorgogliano e il gruppo si scatena prima di addentrarsi in lunghi passaggi per chitarra, flauto e cembali con una spruzzata di jazz. Purtroppo, la conclusiva "Eternity" è, a ben vedere, anche il brano più debole dell'album, molto legata al modello dei Jethro Tull, troppo cantata, con solo qualche intervento di "phaser" in sede di produzione a ravvivare un certo interesse cosmico e psichedelico. Poco male, comunque, trattandosi pur sempre di un brano godibile e con alcuni passaggi strumentali di una certa bellezza.

Con "Dreamlab" l'avventura di Ralf-Ulrich Kaiser nei territori più cosmici del krautrock sembra esaurirsi, magari con un sapore meno moderno di quanto ci si aspetterebbe, ma comunque apprezzabile. Purtroppo, i Mythos decisero di andare avanti, addentrandosi in territori mainstream decisamente poco interessanti (seguendo, in questo, i passi dei compagni di scuderia Wallenstein), contribuendo così a mettere la parola "fine" ad una delle avventure più stupefacenti (in tutti i sensi della parola) della storia del rock.

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