'La stanza del figlio' è un film drammatico del 2001 che ha fatto il pieno di premi (per citarne alcuni: palma d'oro al festival di Cannes e 3 David di Donatello).
La morte vista da Nanni Moretti è causa di disgregazione famigliare, sociale, psicologica. La perdita del figlio modifica completamente le relazioni dei protagonisti con loro stessi, frantumando la serena stabilità precedente, tramutandola in un logoro accumulo di perplessità, aggressività, disperazione ed assenza di prospettive. Toccante la scena in cui il padre, da poco colpito dalla disgrazia, afferra una vecchia tazza incollata e sostiene davanti alla famiglia stordita dal dolore, che in casa è tutto rotto. Distrugge la tazza che non è altro che metafora della famiglia finita in briciole che non si possono più incollare. Emerge l'incapacità di gestire se stessi, colpiti così brutalmente dalla straziante realtà, forse tra le più devastanti, della perdita del proprio figlio.
Moretti interpreta uno psicanalista che dopo l'episodio è tanto distrutto da non esser più in grado di portare avanti la sua professione. La disperazione lo porta ad odiare un suo paziente da cui si era recato con urgenza rinunciando ad una passeggiata col figlio. La passeggiata che avrebbe probabilmente fatto cambiare le cose, e questo pensiero lo farà logorare ancora di più. Il regista compone un quadro famigliare normalissimo, fatto di quotidianità ed impegni, per poi togliere un tassello chiave che va a disintegrare qualunque cosa esistesse prima. La perdita del figlio rappresenta il crollo di qualsiasi equilibrio. Una lettera farà la "magia". Quando tutto sembra irrecuperabile, la famiglia si ritrova di nuovo riunita nel tentativo di fare un ultimo gesto, anche indirettamente, per il figlio deceduto. Una ragazzina, che aveva scritto al ragazzo ed era inconsapevole del terribile episodio, finirà al centro dell'attenzione della famiglia, e, pur essendo una sconosciuta, rappresenterà la connessione con la perduta realtà del giovane. Non sono che vani tentativi, quelli del padre, di procurarsi della musica attuale che "piace ai giovani", per continuare a dividersi con quella sfera adolescenziale ormai dissolta.
La chiave filmica è tutta qui. Non c'è politica né tipico sarcasmo morettiano. Non ci sono le componenti di un regista fino a qui coinvolto da ben altre tematiche. Il film è delicato, lacerante e senza fronzoli. In una parola: riuscito.
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