Ancora a Venezia, stavolta siamo nel 1989. A tenere banco è Krzysztof Kieslowski con il suo "Decalogo" da una parte, dall'altra c'è Nanni Moretti. Sbattuto fuori dalla rassegna ufficiale finisce relegato nella Settimana della Critica, dove presenta "Palombella Rossa".
Durante la conferenza stampa si svolge questo dialogo tra una giornalista e Nanni Moretti: - Complimenti per il film, per la prima volta siamo rimasti arzilli e svegli durante la proiezione... di solito ci facciamo i migliori sonni - Ma scrivetelo che poi v'interrogate sulla funzione della critica. Scrivetelo! Nelle vostre proiezioni private avete certe reazioni e poi nelle recensioni il giorno dopo "bisogna salvare...". Dite quello che pensate, rispettate questo lavoro. Il cinema italiano non si salva parlando bene di tutti i film italiani.
Ognuno ci può leggere quello che vuole ma spesso, erroneamente, è stato ridotto a film sulla "crisi della sinistra".

C'è molto di più e ci ritrovo molti pensieri da me condivisi. Confesso che rappresenta il mio Moretti preferito ed è uno dei film fondamentali del mio essere "cinefilo". Dietro la macchina da ripresa finisce una delle grandi passioni di Nanni Moretti: la pallanuoto.
Riprende molti spezzoni e vengono riproposti movimenti del suo ultimo campionato, nel 1986 in Serie C. I modi dell'allenatore sono gli stessi di Silvio Orlando nel film. In particolare s'ispira ad una partita, a Salerno. Nella vecchia piscina della Rari Nantes.
Ricrea quel clima, quindi molto spigoloso, con una grande tensione ed un pubblico decisamente caldo. Silvio Orlando riprende i richiami, gli atteggiamenti e la grinta del suo ultimo allenatore. La partita di "Palombella Rossa" si gioca alle Terme di Acireale, è Serie C, ed è una partita decisiva per le sorti del campionato. Giocare in trasferta vuol dire confrontarsi con un clima ostile, lottare per difendere se stessi e le proprie ragioni.

Non c'è solo la pallanuoto che resta comunque un magnifico pretesto. E' un attacco alle professionalità, al mestiere. E' lo stesso attacco che rivolge ai giornalisti a Venezia, nel dialogo da cui sono partito nella recensione. Due sono i rappresentanti di questo discorso: il gestore del bar, quando parla de "Il dottor Zivago", e la giornalista, interpretata benissimo da Mariella Valentini. Quante volte abbiamo visto riproposto e parafrasato quell'invettiva di Nanni Moretti quando le molla uno schiaffo. Ha ragione, le parole sono importanti, ma non è lì una delle chiavi del film. Non è un caso che nel trailer viene inserito un passaggio, quando Mariella Valentini tira fuori un libricino sul P.C.I. e lo giustifica con queste parole: "Sà, la mia professionalità... però io di solito mi occupo di sport".
C'è una critica a questa ricerca del mentore, di un personaggio di riferimento, che sia fondamentale nella propria vita, qualcuno al quale ci si deve sempre appoggiare. Non sfugge nessuno: gli allenatori, il ragazzo cattolico, perfino l'arbitro. Ognuno ne ha bisogno e lo mostra come se tutti gli altri dovessero condividere lo stesso impulso, tutti devono conoscerlo ed ispirarsi, anche a costo della propria libertà ed immaginazione e quindi a Michele viene impedito di fare le palombelle. E' sorprendente e strano il suo comportamento durante il dibattito televisivo.
Anche l'infanzia ha un ruolo ed un significato, quindi viene fuori la responsabilizzazione quasi forzata del bambino che finisce, da adulto, a rimpiangere in maniera drammatica quei pochi istanti di felicità. Costringerlo a fare uno sport, quante volte ci penso. Nella mia infanzia e gioventù ho provato tanti sport, quasi tutti su imposizione dei miei ma mai li ho apprezzati e fatti miei. Adesso mi ritrovo con i rimpianti perché mi trovo a 21 anni a ripartire da zero, con il Rugby. Qualcosa che ho scoperto e amato da solo.

"Palombella Rossa" rappresenta quasi un appello all'umanità.
E' un invito ad accettare la diversità, non costringere nessuno a colpi estemporanei e quasi violenti pur d'esprimersi (almeno così ho sempre inteso i due tizi che si portano appresso sempre i dolci). Così può rientrare anche quell'appello drammatico ripetuto quasi ossessivamente da Michele Apicella... "Siamo uguali agli altri, siamo diversi ma siamo uguali agli altri".
Mi fa piacere pensare che questo messaggio esca fuori anche nelle tecniche utilizzate per girare. E' anche per questo il mio Moretti preferito, in questi campi spesso molto larghi. Alcuni spezzoni fatti al rallenty (ad esempio ho sempre reputato bellissimo visivamente il momento in cui Budavari rompe la traversa) o certe riprese in sequenza.
Una ricerca della diversità anche nell'essere esteti di cinema, non solo nel pensiero del regista.

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