Feci la loro conoscenza in una di quelle sere in cui niente puoi chiedere di più dal destino; me ne stavo lì beata e assonnata mentre il mondo andava via e io lo vedevo salutare dai finestrini.

Qualunque cosa in quel momento l'avrei ascoltata da lontano, facendomi cullare passivamente anche da ritmi non propriamente graditi (come purtroppo ho dovuto imparare a fare nel corso degli anni e della vita sociale), e questo lo sapevo benissimo. Ma i New York Ska Jazz Ensemble mi ristorarono autenticamente e, anche se la foschia del sonno rendeva tutto più patinato e sfumato, ricordo con perfezione l'impatto che quegli assoli, quei temi, quella lucida dinamicità dello swing applicata alle sfaccettature più immediate del "jamaican style", mi procurarono.

La cosa più interessante sembrava essere l'intenzione di donare una dignità quasi jazzistica ai pezzi: le improvvisazioni spiccavano e acquisivano un ruolo predominante all'interno di brani in maggior misura strumentale; non era solo una questione stilistica (siamo tutti abituare a sentire tanto e tanto jazz preso in prestito dallo ska): vuoi per le eccelse doti degli strumentisti, per gli arrangiamenti intelligenti, funzionali e soprattutto belli, vuoi per il fascino della novità, ma questo gruppone mi piacque subito e tanto.

Immergendomi quindi fulmineamente nella loro produzione, allietandomi le orecchie con numerosissimi standard magnificamente riprodotti (Boogie Stop Shuffle - un pezzo di Mingus, uno dei miei preferiti tra l'altro; svariati di Ellington, Take Five, e chi sa quant'altri) decido di approfondire il live made in Europa del 2000.

A occhio scorgo pezzi che non possono non promettere bene, anzi, benissimo: I Mean You, Harlem Nocturne, Elegy, ancora una volta standard stupendi e funzionalissimi all'occorrenza. Ma andiamo con ordine.

L'album si apre con una canzone abbastanza brutta (si, suona strano ma è anche strano ascoltare canzoni così brutte, soprattutto quando vengono usate da ouverture ad album così belli), Time of Day; segue la suddetta I Mean You, coinvolgente e vivace, dove arrangiamenti spiccatamente swing (che caratterizzano come detto l'intera produzione del gruppo) si sposano magnificamente e naturalmente a ritmiche ska esplosive e irrequiete. La successiva Harlem Nocturne è un brano di circa 70 anni fa che riacquista tutta la sua bellezza e freschezza grazie alla voce principe del sassofono di Freddie Reiter, leader, voce e polistrumentista dell'ensemble. La romantica e raffinata atmosfera del notturno lascia spazio al blues (cantato questa volta) tanto carico di boogie e di energia: More Whisky. In Don Tojo la componente ska è quanto mai protagonista, ma ancora una volta gli assoli si susseguono magistralmente e consapevolmente: non è facile, ma bellezza (e direi "raffinatezza") e divertimento possono sposarsi e dare luogo a prodotti notevoli e incisivi, come la successiva e sopracitata Elegy, capolavoro compositivo e in questo caso esecutivo. E ancora una volta un capolavoro appare essere Prime Suspect: atmosfere "rudi", da fetido bronx newyorkese. Molto affascinante.

Anche nella track list c'è tanta intelligenza e buon senso: ogni brano è susseguito da un suo complementare o da un suo opposto. E' il caso della felice Properly, dove atmosfere reggae liete e leggere ridonano un respiro di freschezza e anticipano il discorso della successiva Tilt-a-Whirl.

L'album si chiude in puro e splendido stile rude, con Low Blow, e anche tu come il pubblico finisci per esultare e sorridere a questo lavoro così maturo, complesso ma accessibile. Perchè, molti lo dimenticano, ma la musica è arte, e "l'arte non può essere nè tanto facile nè tanto immediata". No, non son d'accordo con questa anonima citazione, ma di sicuro quest'album è la comprova che l'arte può essere di sicuro bella ma anche divertente e non più ripiegata su se stessa in romantici o sterili intellettualismi da università, accademia o conservatorio.

Ancora una volta "nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma". Se il jazz fosse nato per rimanere solo nelle mani dei jazzisti sarebbe un mondo veramente molto triste.

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