È un film "inutile". O meglio, potremo travisare l'inutilità del protagonista e della sua paralisi di fronte alla vita: "Suggerito da fatti anche banali, ogni tanto si risvegliava in me il senso più acuto di non essere adeguato alle cose da fare". Ma se ci fosse una presa di coscienza reale nel constatare l'inesistenza del libero arbitrio, la paralisi scorrerebbe liscia: "Quando l'ansia si faceva più lieve sfumava nel sogno".
Tutto regolare nell'avere coscienza "matta come un Cavallo" di Victor aka Dino Raider, dell'inevitabilità del "tutto accade": "Io provo costantemente la sensazione di vivere come se stessi sotto la minaccia di una tragedia incombente". Diciamo che si mette su una frequenza di velocità diversa dalla rincorsa a realizzazioni materiali: "Mi ha sempre sorpreso quando osservo gli altri, vedere come sono diversi da me. Come hanno saputo bene trovare il loro posto nel mondo".
La colpa di non essere in sintonia col sistema è imperdonabile. Inaccettabile è che il rimanere di sasso venga dal nostro interno e non sia provocato da fattori esterni, la pietrificazione del guscio esterno sottolinea sempre più che non siamo questo corpo: "Mi trovo in uno stato d'animo di sospensione. Posso tranquillamente ricominciare a qualsiasi cosa".
E il calma e gesso interposto alla pressa esterna che tende a stritolarti, specialmente psichicamente, non fa altro che stimolare la nostalgia dell'altro mondo, dove poteri ancestrali riaffiorano per difesa facendoci vedere un po' più d'invisibile che ci circonda: "Esiste un altro mondo, è questo che sentiamo e che atterrisce". E l'accettazione di mattità ("Si, parlo da solo, lo so") è sintomo di antichità animica dove un barbonismo millenario prende il sopravvento e ci si ritrova a non darsi nessuna funzione: "Sono queste che mi fanno impazzire, le piccole cose".
Ci si ritrova persi e, vagando, si comincia a mistificare disperati sentimenti quando, in fondo, la profondità conquistata di primo acchitto ti angoscia nel sorprenderti spaesato di fronte al nulla, per poi beatificarsi di tutta questa assenza che ci permette di vedere oltre le pupille: "Ogni cosa provvedeva a farmi perdere il filo". E l'amico è reale, nella sua qualità di fantasma, e l'amore per il figlio è scioccante da quanto non è "prestabilito", da quanto rispetta l'energia vitale del tutto: "E non trovo la forza neanche di leggere Topolino insieme a te".
Le musiche, simili a quelle di un film di Kitano, rafforzano un'atmosfera "come se percepissi una cosa che è avvenuta senza che io l'abbia vissuta". Il garage come anti caverna, con affastellazioni di oggetti del passato e del futuro. Il canotto sgonfio come Arca di un Noè che cerca salvazione di un annegamento del prestabilito: "La sensazione di vivere come un tempo avanti degli altri". Il coltellino della pipa, identico a come lo aveva mio padre, identico...
Il finale poi sembra voltare per un cambio d'essenza, un salto per trasformare il dolore in sofferenza cosciente, in polvere di stelle: "Cadevano i muri, i vecchi muri cadevano, e la Storia si incaricava di darmi ragione. Ma in pratica era come se non fosse successo assolutamente nulla".
"Devo prendere altro? No, tanto torniamo". L'eternità è lunga. Patate, Cipolle, Lampadina, tanto torniamo...
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