Il ritorno di Mr. Evelyn

Ho fatto girare un po’ “Carboot Soul”, qualche sera fa.

Mentre le casse spandevano nel mio antro sovraffollato suoni profondi o liquidi, assemblati con perizia, in attesa della planata, tra due ali di archi, di una voce seducente, mi son detto che forse una segnalazione su DeB, di quel disco non sarebbe stata una cattiva idea.

Mi ero perso la puntata del 2002 (“Mind Elevation”). E Carboot Soul, del ’99, era stata l’ultima occasione d’incontro con George Evelyn.

Con lui e il suo incubo di lacca.

Mi son chiesto che fine avesse fatto.

La risposta è arrivata oggi, con “In A Space Outta Sound”.

George Evelyn, Mr. Nightmare on Wax, ha talento. Non insegue traiettorie dettate dall’ennesima nuova declinazione del suono elettronico, non teme di suonare datato. Anche se la sua produzione è tutta interna al catalogo Warp, il posticino che si è riservato, molto accogliente, è del tutto personale.


Ha affinato ulteriormente il suo gusto e l’indubbia, rilassata, abilità nel confezionare dischi con un riconoscibile marchio di fabbrica.

Ma questa volta ha allargato lo spettro delle suggestioni
: suona anche R&B, questo disco. E soul, ma non è una novità. Senti un po’ di Motown, un’eco, e poi ti infili nella sua personale versione di lounge che, scusate se insisto, è d’altra stoffa rispetto alle sbiadite camiciole che drappeggiano stuoli di “colleghi” miracolati dai cocktail bar.

Se in “Smokers Delight”, (’95) il secondo disco con il quale molti l’avevano conosciuto, prometteva nel titolo qualcosa che l’ascolto riusciva a mantenere, soprattutto nella “dilatazione” dello spazio e nella sua fluttuante saturazione a base di scaglie di dub e trip hop, qui sembra d’incontrarlo al ritorno da un’immersione nel passato.

Ed è assolutamente felice di zigzagare, tornato a galla, tra l’infinità di materiali che da laggiù si possono attingere.

Oh, certo, non è una sorpresa. Non traghetterà verso splendidi e inauditi scenari la vostra sensibilità. Si limiterà a accompagnarvi in una piacevole passeggiata (che si tramuta, a tratti, in una escursione danzante) ricca di piccoli quadri variabili. A suo modo sentimentale. Ma percorsa da una pulsazione costante, anche quando il paesaggio si fa più tenue, dietro il velo di qualche leggera foschia digitale o tra le note di tastiere “vintage”. Fa occhiolino anche un calypso e, tra l’abbondante vegetazione ricca di samples nella quale ci inoltriamo, in più d’una occasione echeggiano percussioni dai timbri caraibici o africani.

Cos’altro aggiungere? Che in “In A Space Outta Sound” restano attitudini jazzy, che il dub continua a essere un ingrediente basico in alcune sue ricette downtempo? O che, forse, qualche amante delle piccole incessanti “rivoluzioni” stilistiche nel micromacromondo del suono elettronico lo snobberà, probabilmente a ragion veduta? Che a me invece è subito apparso come un riuscito amalgama, piuttosto semplice, soprattutto nelle basi ritmiche, ma vario, sfaccettato, fluido, e vi invito ad assaggiarlo anche senza aver provveduto a qualche ulteriore, misurato, ascolto?

Beh, aggiungo che le voci scelte da Mr. Evelyn per cantare le parole di “In A Space Outta Sound” sembrano aver fatto con lui l’immersione nel vastissimo retrobottega dei suoni già sentiti.

Ma guizzano, o si distendono languide, perfettamente a loro agio in questa primavera del 2006.

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