Mediocre. L’aggettivo che mi viene in mente alla fine dell’ultimo brano dopo il primo ascolto.

L’attesa per il nuovo album è iniziata inconsapevolmente alcuni mesi fa seguendo su Instagram il processo di disintossicazione dalla droghe di Fat Mike, tra nane, clown e altri incontri improbabili. Dopo circa due mesi di detox non è dato sapere se ci è ricaduto o se si è solo stufato di raccontarlo. Nonostante siano da anni paladini del DIY e contrari ad ogni forma di commercializzazione della loro musica tutti i membri della band ormai si prodigano per promuovere il loro nuovo materiale con operazioni di marketing attentamente studiate. Il titolo dell’album e la copertina lasciano intravedere il primo sforzo per disintossicarsi e cominciare a pensare alla vita in modo più maturo, senza tralasciare la consueta dose di ironia e satira politica che da 15 anni a questa parte contraddistingue i loro testi.

Al primo ascolto si sente chiaramente il cambiamento di sound rispetto agli ultimi 3-4 album, chitarre meno distorte, molta più compressione sonora, melodie e ritmiche molto più rock che punk e generalmente l’impressione che molti pezzi assomiglino ad altri già sentiti nella loro discografia, anche la qualità del suono e dell’incisione non mi piace particolarmente.

La voce gracchiante e urlata di Fat Mike, invece, mi piace come sempre, tanto che mi verrebbe voglia di sentirla su un album acustico.

Il disco si apre con un duetto tra Mike e Melvin che si alternano nelle strofe di “Six Years on Dope”, niente di nuovo per intenderci, solo due voci stonate e consumate che sparano su un giro di basso-chitarra quasi punkabilly, piacevole ma che non mi lascia senza fiato.

L’intro di basso downtempo di “Happy Father’s Day” dura quasi la metà del brano e lascia spazio a 30 secondi molto tirati dove Fat Mike esplode la sua rabbia verso il padre in un’unica strofa che potrebbe essere la continuazione perfetta di “My Orphan Year”, in unminutoequattordicisecondi c’è tutto quello che dovrebbe esserci in una canzone dei NOFX, senza giri di parole.

“Sia and Nancy” è la più strutturata di tutto l’album e la supposizione che Nancy Spungen abbia portato alla morte Sid Vicious trascinandolo nel tunnel dell’eroina la rendono una delle tracce più belle del disco.

“California Drought” e “Oxymoronic”, semplici e riempidisco.

“I don’t like me anymore” molto celtic-punk come ironicamente accennato nel testo, probabilmente un pezzo che alimenta il pogo.

Belle le variazioni sul tempo del batterista in “I’m a Transvest-lite” ma poco altro.

Il disco prosegue con alcuni pezzi così così ed alcuni cori più in stile Beach Boys che Bad Religion e sperimentazioni di El Hefe con vari strumenti.

Doveroso l’omaggio alla morte di Tony Sly dei No Use For A Name in “I’m so sorry Tony” con un bell’intro di pianoforte del solito Hefe.

L’ultimo brano ,“Generation Z”, è probabilmente la malinconica chiusura ideale per l’album, uno dei pezzi più lunghi dei NOFX, dove nella parte finale le figlie di Fat Mike urlano la loro rabbia verso la loro generazione, il “no future” con cui è nato il movimento punk. Un gran bel finale.

Dopo aver ascoltato l’album diverse volte mi torna in mente il primo aggettivo a cui ho pensato, mediocre, ma dopo tanti anni da fan non posso non apprezzare ogni cosa geniale che hanno fatto finora, quindi penso che più semplicemente il disco non sia mediocre ma solo il suo anagramma..medio-core.

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