La mia disonestà intellettuale è commisurabile al numero di circostanze in cui mi sono scagliato contro i prodotti di genere. Quando poi altrettanto volentieri ho goduto di dischi come questo, che trovano ragion d'essere nel soddisfacimento di una domanda dichiarata da un pubblico circoscritto, la scena di pertinenza, e nulla più. La cui forma aderisce filologicamente agli standard definiti dagli archetipi, i dischi-feticcio, gli oggetti di culto per kids on the block omologhi.

È una mezza truffa eppure me la bevo, perché l'urlo sull'attacco di Bernie può indifferentemente lucidarmi gli occhi, alzare il mio pugno al cielo come per riflesso automatico, oppure costringermi a una saccenza sdegnosa da "bof, pedissequo".

Mi sento portato, in questi casi, a ragionare per etichette: #midwestemo #texasisthereason #mathemo, cose così. Il giudizio è arbitrario: *, ***,*****, 85.7 o 87.5, :' ) o : |, miglior disco del genere o scopiazzatura esanime. Se un'urgenza comunicativa qui esiste, è difficile individuarla, soggiogata com'è dalla più stringente necessità di corrispondere ai canoni. Il discrimine rischia di essere quello del ben fatto dal fatto male, al limite del conservatorismo culturale.

Se per qualche strana ragione si ha voglia di leggere una dettagliata aggettivazione di reazioni, sentimenti, dinamiche, allora si legga il troppo già scritto da qualcun altro, da qualche altra parte, ricercando per sfera d'influenza. Leggasi «cosa vuoi che ti dica ancora degli arpeggi emo, che sono struggenti?».

Nonostante tutto, ponendo come unico motivo di questo disco la sua stessa esistenza, posso dire che è meglio che esista, anzichenò: nuovi tasselli da playlist a tema/il pezzone è Bernie. Ciao.

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