“DATE IL BENVENUTO ALL'ARMATA DI CHITARRE DELLA FLORIDA: OUTLAWS!!!” è la bombastica introduzione al pubblico urlata dall’organizzatore del concerto, immortalata all’inizio di questo poderoso album dal vivo della formazione southern rock in questione.
Come quasi sempre succede in ambito rock l’adrenalina, la carica e la voglia di coinvolgere rendono queste versioni dal vivo del meglio del loro repertorio assai più pesanti, grintose, estese degli originali in studio. Vengono messe da parte buona parte delle sfumature e delle ricercatezze per riversare, com’è doveroso verso gli appassionati presenti e paganti, il massimo dell’energia e dell’entusiasmo nelle esecuzioni. Tutto questo in una situazione di professionale disciplina e (discreta) precisione, indispensabili in un contesto che vede ben tre chitarre soliste, iper amplificate e caciarone, impegnate allo strenuo a spartirsi puntigliosamente i compiti e non interferire fra di loro.
Si, perché i solisti presenti sono, da questo disco, diventati tre. In precedenza erano due perché la terza chitarra, quella di Henry Paul, era solo ritmica. Ma Paul ora se n’è andato, portandosi via la componente country e bluegrass nel coacervo di stili della band, nonché la sua voce più da crooner che da rocker. Al suo posto appare un assatanato baffone a nome Freddie Salem, addirittura più rude e tosto degli altri suoi due colleghi storici ovvero il fenderista Hughie Thomasson e il gibsonaro Billy Jones. Per contrastare il marasma di chitarre in azione il gruppo decide fra l’altro, da questo disco e per un certo tempo, di introdurre un secondo batterista a rinforzare la sezione ritmica.
L’album è una cavalcata ricca e varia di puro e incontaminato rock sudista, decisamente generoso a livello melodico specie rispetto ai colleghi di genere, ma nell’occasione in una versione con zero ballate, non perfette ma genuine esibizioni vocali, cori assai più deboli del giusto ma almeno non “ritoccati”, le doverose prolissità rispetto agli album in studio, costituite da una pletora di assoli e duetti chitarristici.
Delle undici canzoni presenti spiccano decisamente le due più estese, che sono poi la prima e l’ultima: l’apertura “Stick Around for Rock’n’Roll” (9 minuti e rotti) e il bis in chiusura “Green Grass and High Tides” (oltre i 20 minuti!) sono poderosi ed eccellenti esempi del decisivo contributo che il rock sudista ha fornito alla causa del rock, nonché del decisivo ruolo avuto dagli Outlaws all’interno del genere southern.
A mio gusto, Outlaws fra le prime cinque band ogni tempo del rock confederato, dopo Atlanta Rhythm Section, 38 Special, Lynyrd Skynyrd e Blackberry Smoke. Quest’album li celebra adeguatamente ed imperdibilmente nel loro momento d’oro (1978).
Al prossimo loro (di studio).
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