(...) perché il dolore di assistere alla morte di una persona amata, per una qualsiasi spaventosa malattia, può anche essere una cosa terribile, ma almeno è un fatto noto, comprensibile in un certo qual modo, misurabile, e persino un fatto che genera qualcos’altro, perché c’è un’evoluzione: malattia, deperimento, morte, lutto, una specie di guarigione emotiva. Ma la bellezza dell’orrore di «Madame George» e «Cyprus Avenue» sta proprio nel fatto che in queste canzoni non si parla di gente che muore: guardiamo la vita nel suo fulgore, e ciò di cui soffre quella gente non è una malattia ma la natura, a meno che la natura non sia una malattia.
Un uomo sta seduto in macchina in un viale alberato e guarda una quattordicenne che torna da scuola a piedi; la ama disperatamente. Sono quasi venuto alle mani con alcuni amici per la mia insistenza sul fatto che molti dei primi lavori di Van Morrison reiteravano in modo ossessivo il tema della pedofilia, però qui si tratta di qualcosa che sulle prime si può scambiare per quello, ma va ben oltre. Lui la ama. E per questo è indifeso. Tremante. Paralizzato. Esasperato. Disperato. La natura si fa beffe di lui, come solo la natura può farsi beffe della natura. Ma, in primo luogo, l’amore è naturale? Non importa. Alla fine della canzone il protagonista è ormai entrato in una specie di estasi allucinatoria: la musica duole e si strugge mentre scorre verso la fine. Si tratta di un dolore supremo, quello di essere imprigionato nel ruolo di spettatore. E forse non è molto lontano da quello di «T.B. Sheets», se non che deve essere molto più facile e romantico starsene seduti a guardare una persona amata che muore, piuttosto che guardaria nel fiore della giovinezza e della salute e sapere che non potrai mai e poi mai averla, non potrai mai nemmeno rivolgerle la parola. «Madame George» è il gorgo del disco. Forse è uno dei brani musicali più ricchi di compassione che siano mai stati scritti, e ci chiede, anzi no, fa in modo che vediamo la situazione difficile in cui si trova quello che brutalmente definirò un travestito che soffre per amore, con un’empatia talmente intensa che, quando il cantante lo fa soffrire, soffriamo anche noi. (Morrison ha dichiarato in almeno un’intervista che la canzone non ha nulla a che fare con travestiti di alcun tipo almeno per quanto ne sa lui, aggiunge prontamente, ma è una cazzata).
La bellezza, la sensibilità, la sacralità di questa canzone è che non ha niente di sensazionalistico o di pacchiano, non tende a sfruttare. In un certo senso Van ha ragione quando dice che non parla di un travestito, proprio come avevano ragione i miei amici, e io avevo torto, sulla «pedofilia»: parla di una persona, come tutte le canzoni migliori e le più grandi opere letterarie.
L’ambientazione è la stessa della canzone precedente: Cyprus Avenue, un
luogo in cui a quanto pare la gente scivola, incitata dal desiderio, in momenti di scontro (martoriante per la carne e raccapricciante alla vista) col proprio des
Un uomo sta seduto in macchina in un viale alberato e guarda una quattordicenne che torna da scuola a piedi; la ama disperatamente. Sono quasi venuto alle mani con alcuni amici per la mia insistenza sul fatto che molti dei primi lavori di Van Morrison reiteravano in modo ossessivo il tema della pedofilia, però qui si tratta di qualcosa che sulle prime si può scambiare per quello, ma va ben oltre. Lui la ama. E per questo è indifeso. Tremante. Paralizzato. Esasperato. Disperato. La natura si fa beffe di lui, come solo la natura può farsi beffe della natura. Ma, in primo luogo, l’amore è naturale? Non importa. Alla fine della canzone il protagonista è ormai entrato in una specie di estasi allucinatoria: la musica duole e si strugge mentre scorre verso la fine. Si tratta di un dolore supremo, quello di essere imprigionato nel ruolo di spettatore. E forse non è molto lontano da quello di «T.B. Sheets», se non che deve essere molto più facile e romantico starsene seduti a guardare una persona amata che muore, piuttosto che guardaria nel fiore della giovinezza e della salute e sapere che non potrai mai e poi mai averla, non potrai mai nemmeno rivolgerle la parola. «Madame George» è il gorgo del disco. Forse è uno dei brani musicali più ricchi di compassione che siano mai stati scritti, e ci chiede, anzi no, fa in modo che vediamo la situazione difficile in cui si trova quello che brutalmente definirò un travestito che soffre per amore, con un’empatia talmente intensa che, quando il cantante lo fa soffrire, soffriamo anche noi. (Morrison ha dichiarato in almeno un’intervista che la canzone non ha nulla a che fare con travestiti di alcun tipo almeno per quanto ne sa lui, aggiunge prontamente, ma è una cazzata).
La bellezza, la sensibilità, la sacralità di questa canzone è che non ha niente di sensazionalistico o di pacchiano, non tende a sfruttare. In un certo senso Van ha ragione quando dice che non parla di un travestito, proprio come avevano ragione i miei amici, e io avevo torto, sulla «pedofilia»: parla di una persona, come tutte le canzoni migliori e le più grandi opere letterarie.
L’ambientazione è la stessa della canzone precedente: Cyprus Avenue, un
luogo in cui a quanto pare la gente scivola, incitata dal desiderio, in momenti di scontro (martoriante per la carne e raccapricciante alla vista) col proprio des
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