Dieter Frisch è un distinto signore sessantottenne a cui non manca nulla: imprenditore milionario, proprietario di una villa con annesso parco e riserva di caccia, sposato ad una ricca ereditiera, padre di quattro figli inseriti nell'alta società...
Perché, allora, in un sabato uguale agli altri, si toglie la vita? Perché si spara in bocca, con la pistola regolarmente detenuta, proprio al centro del labirinto della sua villa? E cosa significa quel cencio aperto sul tavolo del suo studio, a raffigurare una malconcia scacchiera sormontata da grezze pedine su cui sono stati malamente disegnati i pezzi degli scacchi? Perché proprio quella, tra decine di scacchiere pregiate che il dottor Frisch colleziona in ragione della sua passione per quel gioco?
Per il suo ammirevole esordio, il goriziano Paolo Maurensig (cinquantenne all'epoca della pubblicazione del libro) sceglie di partire dalla fine. E di ricostruire a ritroso quella storia che rappresenta uno dei migliori esordi nella letteratura italiana degli ultimi decenni.
Il punto di forza della storia è proprio nella sua costruzione. E' come se Maurensig abbia adottato lo schema di una equazione a tre incognite (x, y, z):
X è il già descritto dottor Frisch, che ogni venerdì compie il viaggio di ritorno in treno da Monaco, dove ha sede la sua società, a Vienna, dove vive;
Y, in ordine di apparizione, è un ragazzo all'apparenza insignificante, Hans, che un venerdì sera, inaspettatamente, si accomoda nello scompartimento del dottor Frisch, per compiere con lui quel viaggio di ritorno e, alla prima occasione, poter raccontare la storia della propria passione per gli scacchi (tale da determinare i vari alti e bassi della sua giovane vita);
Z è Tabori, il vecchio conoscitore del gioco degli scacchi che emerge, con tutti i suoi misteri, dalla storia narrata da Hans (Y) al dottor Frisch (X).
Per quasi due terzi del libro, “La variante di Luneburg” si svolge nello scompartimento di un treno, chiarendo esattamente il rapporto tra X e Y (il primo è l'appassionato degli scacchi il quale ascolta la storia che sull'argomento ha da raccontare il secondo) e tra Y e Z (il primo è il ragazzo conquistato da quel gioco che trova nel secondo il grande maestro che gliene tramanderà segreti e pericoli, rendendolo un grande interprete dello stesso). A pochi chilometri dall'arrivo del treno a Vienna, il racconto del giovane Hans termina nell'affermazione del dottor Frisch – allo stesso tempo, perentoria e quasi rassegnata – che svela come egli abbia finalmente capito di essere il reale protagonista del racconto, sebbene il ragazzo sia stato accortissimo a non farne mai il nome; il bello è che il lettore non ha minimamente in mano il filo della complessiva storia, giacché il rapporto tra X e Z è rimasto del tutto in ombra.
Nell'ultimo terzo del romanzo, inizia un altro racconto, quella di Tabori (l'incognita Z), che da io onnisciente diviene io narrante, e narra di se stesso bambino, e di come il gioco degli scacchi, presente nel suo destino, abbia dannato la sua vita.
Così l'equazione si completa e si chiarisce, e nel termine opposto (quello dopo il segno =) appare definitivamente il risultato della stessa: “vita” o “morte”, a seconda di come piaccia intenderlo al lettore.
Una struttura narrativa del genere è un vero e proprio gioiello, da far studiare a chi aspira a diventare scrittore. Ed è accompagnata da uno stile che, seppure ridondante nel soffermarsi su determinati stati d'animo, è sicuramente all'altezza del risultato.
Non è, invece, un libro per conoscere gli scacchi: da questo gioco – uno dei più intelligenti (e, a suo modo, cruenti) inventati dall'uomo – Maurensig ha tratto gli aspetti più “teatrali”, allo scopo di accrescere il pathos del romanzo. E' evidente, in ogni caso, che Maurensig conosce il gioco e ne percepisce il fascino... come accade a chiunque (pur quando non sia un giocatore provetto) se ne lasci conquistare.
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