Questa recensione è frutto di un profondo carotaggio e scavo nel Web, che mi ha portato a sapere che l’attuale cantante dei Cannibal Corpse, band cardine del Death metal oltremodo celebrata (sebbene le sue gesta memorabili siano ormai cosa assai remota), ha da sei anni un validissimo side-project, i Path Of Possession: non è da specificare il fatto che i fan(atici) dei purtroppo ex sopraccitati mostri sacri abbian vissuto la cosa come una delazione imperdonabile. Per quanto mi riguarda, sono ben lieto che costui (che risponde al nome di George Fisher o, se più vi piace, Giorgio Pescatore) abbia mollato gli ormeggi e si sia un po’ distanziato da quella realtà tanto stantia quanto sterile.
Fisher, inutile negarlo, è sempre stato il fiore all’occhiello di tutti i gruppi in cui ha militato (dai Monstrosity, ai duetti coi Suffocation per finire coi Cannibal Corpse) grazie alle sue indiscusse doti: specialmente in un genere dal cantato monocorde e ripetitivo quale il Death Metal, una voce così polivalente e versatile non può che essere contesissima.
L’album in questione riesce a dare lustro a questo cantato, mettendone in mostra le qualità e le molte sfaccettature. “Promises In Blood” è il risultato della grande vena creativa di questo personaggio, che è riuscito a concentrare in un solo lavoro l’esperienza di una carriera più che decennale: è indubbio che il complesso orbiti intorno a Fisher e che gli altri membri possano tranquillamente essere chiamati “collaboratori” senza per questo sentirsi offesi. Per quanto la loro prestazione sia ineccepibile e diano anche prova di una grande padronanza dei loro strumenti, la presenza nel loro organico di un singer di tale calibro li rende semplicemente dei burattini nelle sue mani; i dodici pezzi, infatti, riassumono quanto George ha fatto di più interessante nei suoi progetti precedenti e risulta chiaro che questi ha messo in piedi un gruppo il più possibile conforme ai suoi gusti e alla sua volontà.
La proposta è abbastanza tradizionale e conserva intatti gli stilemi del genere cioè ritmiche veloci e complicate interrotte da rallentamenti e accompagnate da partiture per chitarra di grande impatto e discretamente complicate (anche se non ai vertici del genere). Si notano forti influenze del Death europeo e di gruppi come Vader ed Entombed (sia per i tempi sia per il riffing) anche se sono presenti stacchi di basso tipici del Death americano; il lavoro è insomma una commistione di stili che ha come palese funzione quella di valorizzare la voce del cantante e permettergli di sfoggiare la sua destrezza, tra growling di diverse tonalità e screaming più o meno aspri. Una nota di merito la merita il fatto che siano completamente assenti le clean vocals che, in un contesto del genere, potevano verosimilmente essere inserite da un cantante ambizioso e smanioso di stupire a tutti i costi; il nostro invece riesce a stupire senza tradire il genere e senza entrare in territori che non gli competono.
La produzione viene incontro alle esigenze della voce, esaltandola in ogni sua nota ma rendendo giustizia anche agli altri strumenti: ne risultano avvantaggiate sia le chitarre, potenti ma non pastose, sia la batteria che si fa sentire senza essere invadente.
Da quanto detto fin qui, potrebbe sembrare che il disco sia un mero quanto sterile esercizio di stile: invece i Path Of Possesion, per quanto non eccellano per sperimentalismo e attingano da fonti da molti saccheggiate, riescono a creare un sound assai personale che offre degli spunti molto interessanti e significativi: mi riferisco a “Erszebet”, bellissimo strumentale melodico ma privo di melensaggini e più in generale al mood dell’album, che non esita a mescolare efferatezza pura con aperture meno intransigenti. Probabilmente non avere grossi impegni discografici, come con i Cannibal Corpse, permette a George Fisher di dare sfogo al suo estro e di sfoderare la sua bravura presentando al pubblico un lavoro curato, professionale e dotato di un’indiscutibile personalità.
Un disco che mostra che con talento, voglia di suonare e apertura mentale, si può creare un buon sound senza essere dei grandi nomi: una buona prova che credo sarà tacciata da molti incompetenti oltranzisti del Death metal di alto tradimento ma che piacerà molto a chi apprezza nella musica non solo l’immagine, ma anche le capacità stilistiche.
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