Delle quattro serie commissionate dalla Fox, la terza stagione di Prison Break è stata sicuramente quella che ha ricevuto più critiche. Vuoi per il numero ridotto di episodi (solo 13) rispetto ai canonici 22 delle altre produzioni, taglio causuato dalla sciopero degli sceneggiatori, vuoi per altri fattori.

A mio parere rimane sempre un'ottima season, in cui non mancano il coinvolgimento e l'adrenalina come punteruoli ben marcati delle vicende dei due fratelli americani evasi dal penitenziario dell'Illinois, con quella dose di suspense e voglia di vedere come andrà a finire che si insinua nella mente dello spettatore, sebbene ci siano delle caratteristiche, che distaccano quest'ultima dalle precedenti e dall'ultima serie.

Infatti a al profondo conoscitore del "prodotto" è evidente come questo terzo capitolo abbia quasi i connotati dello spin-off, costituendo un capitolo a se.

Se era stato sfruttato ottimamente il tema della detenzione nella season one, e il tema della fuga nella season two, qui si riprende, sebbene con scenari diversi, il refrain iniziale che ha caratterizzato il serial dai suoi albori.

Ovvero il ritorno dietro le sbarre di Micheal Scofield insieme ad un crew stavolta tutta d'eccezione, che vede l'ex guardia carceraria Brad Bellick, l'ex agente FBI Alex Mahone e il pluriomicidia e pedofilo Teodore Bagwell, ad accompagnarlo in questa nuova avventura. Mentre dall'altro lato della barricata e stavolta relativamente libero e pronto a venire in aiuto del fratello c'è sempre Lincoln Burrows (Dominic Purcell) e l'ormai fidato e compagno di mille avventure Fernando Sucre.

Stavolta, tuttavia, i detenuti non si ritrovana nella grigia e crepuscolare Fox River, ma in una prigione decisamente particolare, ovvero quello di Sona a Panama.

Ed il contrasto con F. River è subito chiaro agli occhi del telespettatore, merito anche della produzione, che non ha solamente ricopiato e incollato il tema della stagione iniziale, ma ha cambiato diversi fattori.

A Sona si respira un aria completamente diversa, vuoi perchè si tratta di una prigione autogestita dai detenuti, vuoi per gli scenari e ambientazioni decisamente estive e folkloristiche di prigione e città esterne, che a tratti rendono l'atmosfera meno drammatica, stemperando in taluni frangenti la tensione.

Se dal punto di vista visivo è una stagione decisamente "esotica" ed innovativa, dal punto di vista della trama, risulta invece una stagione con pochi sussulti, non che sia un gran male. Ma il pubblico è stato abituato fin troppo bene dalle continue rivelazioni/verità che si susseguivano senza sosta del passato.

La trama quindi risulta più statica, riservando meno scossoni e meno colpi di coda che in passato.

Sopratutto per via della nuova incarcerazione di Micheal, che porta a ridurre il suo raggio d'azione.

E' una stagione di transizione, dopo i fuochi di artificio delle ultime puntate della stagione due, che tuttavia vedrà le introduzioni di nuovi personaggi nel cast: Norman Lechero, trafficante di droga e capo dei detenuti di Sona e un misterioso, quanto controverso uomo tale James Whistler, vero punto focale attorno a cui si snoderà la trama principale.

Se in maniera generale non ci saranno grossi sviluppi nella trama principale e nella lotta fratelli vs sistema (ovvero quella compagnia che cospira contro di loro), si assiste ad un interessante scambio dei rispettivi ruoli e prerogative, con notevoli e importanti cambiementi psicologici, da parte degli ex-nemici di Micheal.

P.B. è anche celebre per le numerose uscite di scena all'improvviso di personaggi importanti del cast, e qui non si viene smentiti, con uscite di scena ancor più illustri del passato, tra cui la dipartita dell'attrice Sarah Wayne Callies alias Sara Tancredi, ragazza del cuore di Micheal.

Dalla padella alla brace, da vittima a carnefice il passo è breve. E la libertà è sempre più un miraggio lontano. Questo è il mondo sporco, fangoso e imprevedibile dipinto e messo in scena in Prison Break.

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