Il cantautorato italiano aveva bisogno di un antidivo. Il caso di Peppe Voltarelli è particolare: un vestiario retrò da emigrante calabrese glamour, una faccia da indifferente, stralunato, rassegnato calabrese vissuto tra i cementi disarmanti lungo la S.S. 106 Jonica, una scapigliata operaia da padre di famiglia che deve sfamare cinque figli calabresi. E dove lo mandi uno così, uno che sembra esser fatto apposta per non apparire da nessuna parte. In Italia, naturalmente, non lo vuole nessuno se non qualche sfigato sindacalista al primo maggio perché tanto costa poco, o è lui che mendica spazi angusti in provincia di Campobasso, dalle sue parti, a Bologna in qualche festa per figli di lavoratori sodomizzati dal comunismo. Tanto per dirne una, vi immaginate quella faccia a Sanremo? No, proprio non si può.

L'Italia è brava a parlarsi addosso, è brava a creare il caso Morgan, è brava ad ignorare i suoi migliori talenti, è brava a dire ai suoi figli di non andare via mentre li prende a calci in culo.

E allora Peppe Voltarelli, calabrese di Mirto (Cs), - quindi uno da temere - tira un gioco proprio brutto all'Italia. Decide di andarsene. E tornare. Andarsene. E tornare. Andarsene. E tornare. Non cagandosi nemmeno i vari pippibaudi, paolibonolisi, antonelleclerice e altri cadaveri tenuti in vita da mamma RAI vari, mette in piedi un discorso da calabrese con i coglioni, lo fa conoscere in giro ed inizia a riscuotere successo in Messico, Argentina, Stati Uniti, Canada, Belgio, Francia, Germania, Repubblica Ceca. Mentre l'Italia in mano agli itagliani è cieca.

I trascorsi da leader de Il parto delle nuvole pesanti non sono da approfondire su questo sito, basta solo dire che quell'ottima esperienza musicale e sociale aveva fatto capire a tutti che il nostro era un cantautore e che prima o poi si sarebbe messo in proprio. Detto e fatto non senza sofferenze.

All'attivo ha un solo disco solista, Distratto ma però, dal titolo che gli sta bene come i baffi stanno bene a lui. Questo Buscaglione tutto Tenco e tutto tango di quella parte d'Italia che molti (stupidi) considerano Africa sarebbe capace di dimostrarti con la sua musica che "dicesi retta una linea curva". Musica impastata come la massaia con le vene varicose, le rughe e i capelli bianchi a 35 anni, i vestiti neri dalla testa ai piedi - in una parola, calabrese dell'immaginario asburgico - avrebbe impastato i dolci della cucina povera di Calabria. Musica salata e limpida come lo Jonio condiviso dalla terra del Voltarelli con Grecia e Albania. Musica italiana, quella da sostenere davvero, non quella promossa dai frangeschifachineti.

Due cover di Modugno ("Malarazza" e "Dio come ti amo") chiudono questo live del cantautore di Mirto, a ricordarci qual è la tradizione di riferimento di questo terrone che è andato in giro a provare a mettere una pezza sui fatti di Duisburg. E poi tanta musica sua e del Parto, tante schitarrate scatarrate, tante contaminazioni folk tarantolate, tanta musica di uno che ha iniziato a prendere - iniziato! - la strada di un buon Paolo Conte. Perché la sottile ironia è quella e la dimostra già solo muovendosi e scattando come una pecora appena marchiata a fuoco quando fa partire "Raggia" (trad. Rabbia), taranta assassina da antica torre di avvistamento. Percussioni calorose ed accoglienti  a base di cajon seguono tutta quest'ottima produzione che ci svela un Voltarelli chitarrista acustico dotato, da buon inventore dell'inno degli italiani all'estero. Sono felici tutti gli episodi di questo disco che crea atmosfere da esportazione di Sud puro con il tango sdrucciolo di "Distratto ma però", il taratazum di "Turismo in quantità" - brano ispirato all'insegna di un negozio lungo la statale jonica che vendeva praticamente di tutto - , il cavallo di battaglia "Onda calabra", l'inedito poetico, chansonnier e meravigliosamente dandy "Gigì", dedicato all'amico italiano francese lontano dal mare di Mirto.

Duisburg, Nantes e Praga hanno goduto di questo ed altro. L'Italia dovrebbe mostrare un po' più di considerazione.

Alla salute, paisà.

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