Intitolato semplicemente Paris Trout nella versione originale del 1988, questo romanzo va sotto pelle e ci resta.
Siamo in una America rurale negli anni ‘50 a poca distanza da Atlanta nella nera Georgia. Un piccolo paese ma con lunga tradizione sudista. I personaggi di questa storia sono raccontati e sviscerati con estrema, realistica precisione. In sostanza, bianchi praticamente tutti razzisti e neri praticamente tutti poveri e sfruttati, o quasi.
Sembrerebbe un copione ben conosciuto, ma accade qualcosa di inspiegabile che sconvolge la cittadina e che mette i suoi abitanti di fronte a qualcosa di inaspettato e orrendo e che porta a nudo ed in bella vista il cuore nero, appunto, della loro linda e regolata società.
Improvvisamente, senza segnali premonitori, inizia una sequenza di piccoli fatti che provoca un inarrestabile valanga di violenza e sopraffazione e i tentativi, spesso ipocriti, di mettere fine al disastro incombente.
Un delitto senza senso, un uomo amorale, un commerciante che vive in suo mondo dominato dal denaro, immerso nelle contraddizioni, intriso di secondo emendamento, quello delle armi, razzista nel midollo e violento con la moglie e con gli altri fino alla fine. Un uomo che possiede convinzioni talmente radicate da non consentire alcuna alternativa al suo agire.
Paradossalmente Paris Trout trova proprio nel suo avvocato Harry Seagraves, che inizialmente lo difende nel migliore dei modi, l’antagonista che in qualche modo indirizzerà lo svolgersi della storia.
Nelle pieghe degli avvenimenti le piccole storie della provincia, piccole storie che definiscono i caratteri dei personaggi importanti e non, in un insieme corale ed in un quadro generale desolante e con ben poca speranza, se non fosse per un paio di personaggi femminili fuori dagli schemi, soprattutto se inquadrati nel contesto del periodo.
Tra una certa ingenuità popolare e una crudezza istituzionale che sconcerta, si incrociano i destini dei personaggi con sceriffi inutili, giudici corrotti, sentenze ridicole, tutto condito dal razzismo e dall’apartheid effettivo, quello di prima dei movimenti per i diritti civili.
Serrati dialoghi e cura del dettaglio danno la misura di questo romanzo, premiato con il National Book Award per la fiction.
Non voglio spoilerare il finale, che aleggia per tutto il libro, ma quel che accade è talmente duro che sconsiglierei la lettura ai troppo sensibili.
Questo libro si inserisce nella migliore tradizione letteraria americana, quella per intenderci de “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee e di “A sangue freddo” di Truman Capote. In parte noir, in parte legal thriller, il racconto si sviluppa in un crescendo di emozioni che dai personaggi si trasmettono al lettore.
Insomma il consiglio è di leggerlo, poi fate voi.
Da questo romanzo è stato tratto il film omonimo (1991), con Dennis Hopper, Ed Harris e Barbara Hershey, che non ho visto e del quale non posso dire nulla. Ajò
Carico i commenti... con calma