Si fa presto a dire musica estrema, e son più le volte che la usa a sproposito che quelle a ragione.

Questa è musica estrema. Altrochè gli Anal Cunt o i Pooh. Peter Brotzmann si accompagna con altri 7 svitati mostruosi partoriti dall'ambiente avant-jazz più allucinato e decide di creare un mostro. Questo è "Machine Gun", anno 1968 signori, paura e delirio e dolore. Inutile di cercare di capire che cosa cazzo sia il disastro sonico all'inizio delle due take che danno il nome al disco, è presto detto, mr.Brotzmann soffia con forza spaventosa nel suo sax ed è pronto a distruggere tutti gli impianti sonori finora conosciuti, è lo standard del "punk-jazz" dell'avanguardia che ad oggi è terreno sondato sul serio da veramente pochi, e se la prima take è disastro puro sempre e comunque, nella seconda si snoda una leggera dose di "melodia" standardistica in più, fraseggi ultrasonici di sassofono che si infilzano come chiodi tra le terminazioni nervose, oggetti percossi a tutto spiano, rumori inclassificabili, due batterie che vanno dove vogliono e un pianoforte che compare qua e là a gettar spilli negli occhi.

"Representible" è introdotta da un contrabbasso nervosissimo che introduce una batteria lanciata ai duecentomila all'ora sulle note arruginite dei due sassofoni che esplodono in magnificenza nella furia di Brotzmann e Parker, fino a spegnersi in decomposizioni futuristiche, sprazzi di delirio percussivo. E per concludere beccatevi la marcia mortale con i vari "solos" di"Music For Hann Bennink" e i contrappunti sugli accenti come stessero suonando thrash metal di classe alienallucinogena.

Vaivai al Sonisphere a succhiarti la musica brutale di 'sti cazzi. Poi non venire a piangere da me se ti sei perso questa figata.

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