Liquidato all’epoca della sua uscita come un “Mezzogiorno di Fuoco nello spazio”, “Atmosfera Zero” (Outland, 1981) non fu il successo al botteghino che i suoi creatori auspicavano, arrivando ad incassare poco più di quanto era costato (fonte IMDB). Che ci fossero grandi aspettative lo testimonia la qualità delle forze messe in campo. Innanzitutto la scelta del protagonista, nientemeno che Sean Connery che in quel periodo, dopo i fasti di 007, non azzeccava però un film e che contava sulla moda cinematografica del momento, la fantascienza, per tentare un rilancio di carriera. Ma per quanto la sua stella fosse un po’ appannata, Connery era pur sempre Connery, e il suo nome sul manifesto non passava inosservato. Assolutamente rispettabile la reputazione artistica dei comprimari, Peter Boyle, Frances Sternhagen e addirittura un giovane Steve Berkoff, oggi uno tra i più stimati attori inglesi di teatro. Anche il comparto tecnico non era da meno, con i costumi di John Mollo, le scenografie di Philip Harrison e le musiche del grande Jerry Goldsmith. Alla regia, statunitense alla guida di una troupe praticamente all british, quel Peter Hyams che nel 1977 con Capricorn One aveva dimostrato di saperci fare.
Eppure qualcosa non funzionò; fin dai titoli di testa è chiaro che l’intento era quello di bissare il successo ottenuto solo due anni prima da ”Alien” di Ridley Scott, altra produzione anglo-americana, ma quando "Atmosfera Zero” uscì nelle sale si limitò a far parlare di sé appunto come di un “western spaziale”, condannandolo così ad una frettolosa programmazione prima di sparire in un dimenticatoio da cui affiorerà solo con qualche sporadica apparizione televisiva a tarda notte. Sì perché oltretutto, il film contiene alcune scene piuttosto cruente (almeno per l’epoca).
La pellicola è curiosamente ambientata su di una luna di Giove, “Io”, i cui giacimenti di titanio vediamo fin dalla prima scena scavati faticosamente da minatori ospitati sulla locale colonia Con-Am 27. Cercando di non spoilerare troppo, il seguito è piuttosto semplice e consiste nella scoperta da parte del neo incaricato sceriffo William O’Niel (Connery) di un traffico di sostanze dopanti atte a incentivare la produttività dei minatori che nel tempo provocano però delle pesanti ripercussioni psico-fisiche. Svolta un’indagine che porta dritta ai vertici dell’amministrazione (Boyle), lo sceriffo si trova di colpo isolato, nell’omertà se non nell’aperta ostilità di chi lo circonda, con il solo aiuto della dottoressa della colonia (Sternhagen) ad affrontare dei killer ben equipaggiati che proprio per lui stanno per arrivare su di uno shuttle, mescolati tra i minatori del cambio turno.
Se messa così la trama di per sé può non richiamare immediatamente “Mezzogiorno di Fuoco” (High Noon, 1952), è più l’atmosfera di isolamento e attesa che ad un certo punto circonda O’Niel a far correre la mente al celebre western, di un genere “altro” così come la fantascienza. Hyams, autore anche della sceneggiatura (e della fotografia, il giovane Stephen Goldblatt viene in pratica ingaggiato solo come prestanome) dal canto suo non fa nulla per nascondere i rimandi al classico di Zinneman: il protagonista che è uno “sceriffo”, l’utilizzo di normali fucili (e non raggi laser), il tono dei dialoghi tra il villan e l’eroe, le frequenti inquadrature a grandi orologi (naturalmente qui in stile display), fino addirittura a richiamare in un elemento scenografico le antine d’entrata tipiche dei saloon. Non solo, nelle conferenze stampa di presentazione, Hyams non fa mistero della sua fonte d’ispirazione. Quindi il gioco era voluto, scoperto fin dall’inizio e questo sembra giustificare poco il fastidio mostrato allora dai critici, che inoltre definiscono la recitazione di Connery “legnosa”, i personaggi privi di adeguato spessore, la trama lacunosa e stiracchiata, la scienza che sta alla base del film inaccurata. Le opinioni nel tempo non devono esser cambiate di molto visto che il film mantiene solo un 56% su “Rotten Tomatoes” (https://www.rottentomatoes.com/m/outland).
Se alcuni di questi appunti possono essere condivisibili, visto oggi “Atmosfera Zero” si conferma però un buon thriller, dove la tensione cresce a poco a poco raggiungendo uno spettacolare climax, grazie anche agli effetti speciali pre-digitali del veterano John Stears che ben “tengono” il passare degli anni, con vedute dell’esterno della colonia che assolutamente soffrono in TV e che apparivano vertiginose sul grande schermo grazie a una tecnica allora pionieristica chiamata IntroVision (ebbene sì, sono tra i pochi che lo ha visto al cinema all’epoca della sua frettolosa uscita, il che non fa di me un germoglio). È vero, non è la migliore interpretazione di Connery, che gioca forse troppo di sottrazione cercando di dare credibilità al suo sceriffo, ma l’attore scozzese riesce comunque a portare lo spettatore dalla sua parte in questa lotta viscerale contro l’avidità delle corporation e il suo unico, breve monologo è ben interpretato. Non lo aiuta come si diceva lo scarso spessore nella scrittura dei personaggi, ma la verve della Sternhagen riesce invece a dare credibilità alla sua Dott.ssa Lazarus ritagliandosi pure con il protagonista dei gustosi scambi. Forse dove il film zoppica davvero, dove le sue componenti stridono, è proprio nella credibilità scientifica. Se fai fantascienza devi subito metter in chiaro in che campo stai giocando, se in quello della fantasia a briglia sciolta (es. Star Wars che non a caso alcuni definiscono un “fantasy”) o in quello della credibilità scientifica. In “Atmosfera Zero” le scenografie e i costumi, apprezzabili ancor oggi, giocano in quest’ultimo, ma le situazioni, cercando la spettacolarizzazione, spesso appartengono più al primo. La decompressione che gonfia i corpi come palloni, l’intensa attività vulcanica di Io, nota già allora, di cui nel film non c’è traccia, la gravità che muta ingiustificatamente tra l’interno e l’esterno della colonia (questo è un male che ha afflitto moltissime produzioni come ad esempio quelle di Jerry Anderson, tanto che da ragazzino ero convinto che la gravità dipendesse dalla presenza o meno di ossigeno, convinzione che un giorno la mia insegnante di scienze corresse non senza traumi), c’è pure un cadavere il cui sangue gocciola verso l’alto (!). Potrei continuare.
Vale dunque la pena di spendere 1h e 49 minuti su questa putrida luna di Giove? Per chi scrive tutto sommato sì, la tensione c’è, gli interpreti fanno del loro meglio con quel che hanno ed è abbastanza, il design e buona parte degli effetti speciali reggono la prova del tempo. Non è un capolavoro, ma l’impegno nel realizzarlo c’è stato e arrivo perfino a dire che forse “Atmosfera Zero” è un po’ sottovalutato. Purché ricordiate che è un western. Buona visione.
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