Qualcosa di strano ingombrava il salone, qualcosa di incompreso. Pauline cercava di trattenere il suo disappunto nel timore di apparire irragionevolmente turbata agli occhi degli altri commensali, che intanto gustavano il roastbeef come niente fosse. Suo padre scherzava con uno dei giovani clienti della pensione, uno studente di medicina tanto pallido quanto insignificante. Sua madre dissimulava la stanchezza di un'intera giornata fingendo di seguire la conversazione, e di divertirsi un mondo. Riteneva che ogni circostanza costituisse una valida occasione per pubblicizzare il piccolo albergo di famiglia, in quel caso la simulazione del riso era da intendersi come un segnale di accoglienza. A Pauline venne da ridere. Non è buffo vivere in una famiglia di pensionanti senza sapere cosa sia la familiarità?...

Quando Peter Jackson girò la sua quarta pellicola nell'ormai lontano 1994 era ancora uno sconosciuto; aveva da poco cominciato a prestare "i suoi servigi al cinema", come affermerà poi la Regina Elisabetta al momento di nominarlo Sir. Il regista neozelandese si ispira ad una storia di cronaca nera che macchiò d'infamia la sua virginea terra natia. E' il 1953 quando Pauline Parker uccide sua madre, rea di averla obbligata ad allentare la sua amicizia con Juliet Hulme, sua compagna di studi e complice del delitto. Oggi "Heavenly creautres" è un film di quello del "Signore degli anelli", da qui il rischio di guardarlo nel solo tentativo di scorgervi le vestigia del visionario che sarà (parere riportato ma non condiviso). Eppure anche dopo una prima visione del film si ha la vaga impressione di trovarsi dinanzi ad un'opera autonoma ed originale,  rivisitazione di un morboso episodio criminale che riesce ad essere scorrevole e riflessivo, onirico e garbato.

Juliet è bionda e conosce il francese alla perfezione. Abita in una grande casa con una bellissima madre e un padre docente universitario. E' debole di petto, le hanno diagnosticato la tubercolosi, ma per Pauline è semplicemente perfetta. Possiede la femminilità che vorrebbe, la gentilezza che non ha trovato altrove, un desiderio di sognare che non conosce limiti. Il grammofono di casa Hulme suona sempre il disco di Mario Lanza, in casa di Pauline la radio gorgoglia, emette sibili, tace. Juliet ricambia tutto questo, costruiscono insieme un immaginario fantastico, fatto di cavalieri e mostri ostili, rassicurante realtà sublimata. Piu lontano si spinge il loro viaggio fantasioso, piu difficile è tornare indietro. Avevano progettato di partire insieme ma la signora Parker Rieper non aveva intenzione di dare il suo consenso. Il dottore aveva descritto Pauline con quel termine orribile e non poteva permetterle di continuare a frequentare Juliet, figuriamoci lasciarle partire insieme. Due invertite...

Peter Jackson se ne infischia della cronaca. D'altronde se al centro della sua attenzione ci fosse stato il matricidio avrebbe fatto prima a girare un documentario. La verità è che sotto le uniche protagoniste di questa vicenda sono Kate Winslet / Juliet e Melanie Lynsky / Pauline: due attrici che si stenta a credere agli esordi a causa di un'interpretazione brillante, intensa, mai banale. Una nomination agli Oscar per la migliore sceneggiatura originale non fa altro che coronare uno splendido lavoro di scrittura che persino un individuo dall'epidermide di un ippopotamo riuscirebbe a percepire: la linea tracciata è binaria, il mondo reale si intreccia con quello in cui le due ragazze hanno ambientato il loro romanzo. Si ha l'impressione che il gioco del doppio si rifletta in ogni sfaccettatura della pellicola, a cominciare dai due personaggi protagonisti: Juliet, ragazza ironica, lunatica, provocatoriamente moderna e Pauline, repressa da un ambiente retrogrado, fantasiosa, distaccata. Eppure si sono trovate e dal quel momento in poi gli ostacoli e l'incomprensione altrui non faranno altro che cementare la loro unione ed amplificare la loro smania di grandezza.

Madre, donna spregevole. Quanto altro tempo ancora prima di poter considerare estinto il mio debito di gratitudine? Non c'è ospitalità che non richieda ricompensa per te, non è vero? Ti appaga credere di dover vigilare sul mio cammino? Ma io non ho mai chiesto nulla di tutto ciò che hai voluto darmi. Se solo potessimo fingere di non appartenerci potrei fare a meno di spaccarti il cranio. Ma se hai una coscienza saprai comprendermi, che in qualche modo, stavolta, sei tu a dovermi qualcosa in cambio...

Forse per furore giovanile, forse per ferma convinzione, il cineasta neozelandese sembra non riuscire a contenere la verve del principiante. Il punto debole di questo film, che non a caso ha diviso la critica al Festival del cinema di Venezia, è rappresentato proprio dalla regia: slabbrata in alcuni punti, confusa nel tentativo di definire a tutto tondo il personaggio di Pauline, che è l'indubbia "eroina nera" della storia, e la sua sfrenata ricerca di un'identità sessuale. Le scene che ritraggono il mondo irreale delle due liceali rilascia vischiose orme d'infantilismo, come la vivacità dei colori e la bellezza di certe visioni che sembrano suggerire un'interpretazione della psicologia delle colpevoli troppo indulgente ed edulcorata. Il giudizio finale nel suddetto caso è quanto mai soggettivo: pro e contro si equivalgono da un punto di vista quantitativo e solo l'istinto potrà suggerire quali siano ad avere peso maggiore.

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