Un film di forte impatto civile, ma anche una pellicola dove emerge il lato migliore delle persone: l'umanità.

Girato quasi interamente all'interno di un ospedale pubblico svizzero, descrive l'ultimo turno di lavoro di un'infermiera che, insieme solo ad un'altra collega, deve reggere tutto un reparto di oncologia.

L'ambientazione è arcinota, sia credo purtroppo per esperienza personale diretta o indiretta di ognuno di noi, sia grazie alle innumerevoli fiction, specialmente televisive che imperversano sull'argomento da decenni. Solo che al contrario delle più note serie televisive, dove ci sono comandanti/medici che con abili strategie vincono guerre che agli occhi di tutti sembrano già perdute, qui siamo in trincea con soldati/infermieri che affrontano la realtà di ogni giorno, che lottano e riescono tutt'al più a tamponare le ferite e, se va bene, a ritardare le inevitabili sconfitte. Questo grazie alla grande esperienza maturata sul campo, alla bravura e alla professionalità, ma soprattutto grazie a una forte dose di umanità. Un’arma, quest’ultima, che d’altro canto si rivela essere a doppio taglio, perché se da un lato ti consente di affrontare ogni situazione con calma, empatia e nervi saldi (almeno apparentemente), dall'altro ti coinvolge, ti segna nel profondo dell'animo e non ti lascia mai, accompagnandoti, alla fine del tuo turno, fino al ritorno a casa, seppur con la consapevolezza di aver fatto tutto quanto era possibile.

Interpretato da una superlativa Leonie Benesch, con una performance così realistica che va oltre la semplice recitazione (sembra che abbia veramente fatto l'infermiera per tutta la vita), con la mdp che non l'abbandona mai per un'istante nell’andirivieni tra le corsie dell’ospedale, in un continuum di tensione drammatica e con solo rarissimi e brevi momenti di alleggerimento, il film si mantiene in perfetto equilibrio senza mai scadere nel facile pietismo, ma concedendo solo piccoli sprazzi di forti emozioni. Il tutto vissuto attraverso gli occhi della protagonista, la sua espressività, la sua gestualità sempre cosi attenta, che solo qualche volta, nei momenti più intensi, tradisce qualche piccola emozione. Vivere così intensamente il proprio lavoro non esenta dagli errori, causati dallo stress continuo, dovuto essenzialmente alla carenza di personale. Errori che possono portare conseguenze anche gravi, ma che sono parte del gioco (solo chi fa sbaglia).

Neanche la carrellata finale notturna sui pazienti sistemati nei loro letti, accompagnata da un suggestivo commento musicale, rappresenta un cedimento, ma solo la degna conclusione di un turno di un lavoro, che è qualcosa di più di una semplice professione.

Al termine del film una scritta ci informa che nel 2030 in Svizzera si calcola che mancheranno 30.000 infermieri e nel mondo 13.000.000. E la visione di questo film ci spiega benissimo cosa ci riserverà il futuro.

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