"Probably the best tenor player in the world." Questo disse Ornette Coleman di Pharoah Sanders, forse esagerando un po', ma come biasimarlo. Basta infatti ascoltarlo per pochi secondi per restare affascinati dalla sua intensità e dalla profondità spirituale con cui forse solo il grande John Coltrane può competere.
Farrell Sanders (il suo vero nome) nasce in Arkansas nel 1940 e comincia giovanissimo a suonare il sax tenore. Negli anni sessanta si trasferisce a New York dove inizia a suonare con artisti eccezionali, basti pensare che l'appellativo Pharoah (Faraone) gli fu dato dal mitico Sun Ra con il quale suonò insieme per un periodo. Dal 1965 inizia a suonare anche con John Coltrane contribuendo alla sperimentazione del free-jazz, non a caso Sanders suonerà in "Ascension" e "Meditations". I due grandi sassofonisti si influenzarono a vicenda, tanto Coltrane nell'ultima parte della sua carriera quanto Sanders nei suoi dischi futuri coniarono un linguaggio nuovo la cui base di partenza resta la sperimentazione del periodo trascorso insieme, ad esempio lo stile di Sanders è caratteristico per l'uso degli "sheets of sound", mutuato da John Coltrane. Pharoah vanta altre prestigiose collaborazioni, nel '68 partecipò al Jazz Composer's Orchestra Association di Carla Blay e Michael Mantler incidendo l'album "Communications" in cui suonano anche Don Cherry, Larry Coryell, Cecil Taylor e Gato Barbieri, e in cui suona quello che viene definito da John Zorn "the most intense and inspiring free tenor solo ever put to tape". Tra gli anni sessanta e settanta inizia la sua carriera "solista", dedicandosi a poche collaborazioni, incidendo dischi epocali. Il suo capolavoro, o comunque il disco a cui è dovuta maggiormente la sua fama, è "Karma" risalente al 1970 inciso per la Impulse. Questo disco si inserisce nel filone del cosiddetto "spirituali-jazz" e sembra quasi una continuazione di "A Love Supreme" anche se il capolavoro di Coltrane nel suo essere supremo è al di sopra di ogni categoria, mentre in Karma sono più evidenti elementi di musica Indiana e Africana.
L'album si apre con la leggendaria "The Creator Has a Master Plan" di quasi 33 minuti, composta con il vocalista e percussionista Leon Thomas, con al piano Lonnie Liston Smith, al flauto James Spaulding, al corno francese (il corno da caccia) Julius Watkins; al basso Reggie Workman che suonò anche con Coltrane e Richard Davis che appare anche in "Out To Lunch" di Eric Dolphy; alla batteria Billy Hart e alle percussioni Nathaniel Bettis.
L'overture è affidata al sax di Sanders che ricorda il lamento di un muezzin e l'odore di incenso; è la preghiera di apertura prima del rito (intro che verrà ripresa dai Gun Club nell'album "Las Vegas Story" nella canzone "The Creator Was A Master Plan"). Si rimane subito affascinati e catturati dalla musica e l'introduzione non è altro che l'annuncio di un lungo viaggio. Quando Leon Thomas inizia a cantare c'è la rivelazione divina: "The creator has a master plan / peace and happiness for every man / The creator has a working plan / peace and happiness for every man / The creator makes but one demand / happiness through all the land". Quest'album è la trasfigurazione sonora di un viaggio dantesco alla ricerca del disegno divino ("There was a time, when peace was on the earth / And joy and happiness did reign and each man knew his worth / In my heart how I yearn for that spirit's return / And I cry, as time flies / Om, Om"), e Pharoah ci guiderà passo passo, avendo fede nel piano divino anche nei momenti più difficili perchè sa che chi arriva al termine sarà ricompensato ("There is a place where love forever shines / And rainbows are the shadows of a presence so divine / And the glow of that love lights the heavens above / And it's free, can't you see, come with me"). Un viaggio spirituale dunque, una prova che può durare una vita oppure una sola giornata, o che può non esaurirsi in questa vita, ma continuare finché non si raggiunge il nirvana. E' un viaggio difficile perciò, ostile, che può essere superato solo da chi ha la forza per credere che la ricompensa finale vale più della sofferenza incontrata durante il percorso. Il travaglio e la sofferenza sono espressi dal free-jazz, dalle urla, dal disordine infernale che percorrono la canzone nel mezzo del cammino. Il sax di Sanders è infuocato, inquieto, un pathos quasi insostenibile. Pian piano la confusione ritorna alla tranquillità, ci si avvicina alla meta e Leon ricomincia a cantare il tema iniziale, quasi ricordando che il Master Plane non sarà disatteso. La successiva "Colors" infatti è immersa in un clima di pace, finalmente si è raggiunto il nirvana, la tranquillità, la redenzione.
Probabilmente alla fine potrete ritrovare voi stessi e rendervi conto che quest'album, come a volte la vita, una storia, non sarebbe un tale capolavoro senza tutto il sangue e sudore gettato strada facendo.
Un'opera da non perdere, per i jazzofili e non.
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