Disclaimer: questa è la mia prima de-recensione, quindi chiedo immensa venia per quello che ne verrà.

Detto ciò, potrei iniziare a parlarvi di "Undermind", l'album dei Phish con cui ho deciso di esordire nella sfolgorante carriera di recensore che mi attende da qua alla fine dei miei giorni. Questo significa che se recensirò un album all'anno, sarà grasso che cola.
Prima di inoltrarmi nello specifico desidero però spiegare i motivi per cui ho scelto proprio quest'album come inizio delle attività: questo non perchè voglio ammorbare le vostre sensibilissime gonadi sferiche, ma più che altro per stilare una sorta di mini-manifesto programmatico. Ok questo ammorberà le vostre gonadi, ma il punto è che non lo faccio per questo motivo. Grazie per la comprensione. Racchiudo la parte non squisitamente recensoria fra due righe di underscore, per chi volesse saltarla.

Undermind è un disco di una band, i Phish, semisconosciuta in Italia (e forse in Europa, a giudicare da Google) e celeberrima negli Stati Uniti soprattutto per l'intensissima attività dal vivo. Undermind NON è uno dei loro dischi più famosi, né uno dei più importanti. Né, forse, uno dei più belli in senso oggettivo.

"E allora perché sei ancora qui a sfasciarmi le suddette?" si chiederà l'attento lettore.

Perché è un disco a suo modo perfetto per quel che intendo io per musica.

Intendiamoci, sono un divoratore di stranezze musicali così come di banalità musicali, mi piace tutto e il contrario di tutto, e allo stesso modo odio tanto e schifo ancor di più. Però c'è qualcosa, al di là del genere strettamente inteso, su cui mi baso particolarmente per stilare le mie preferenze: l'attitudine e lo stile "caratteriale" della musica (che non sempre corrisponde a quello del musicista).

I Phish, come tutta la mia musica preferita, sono intelligenti. Intelligenti non nel senso che sanno risolvere problemi di fisica quantistica, tradurre dialoghi di Platone senza vocabolario o stilare piani aziendali in mezz'ora. No, i Phish sono intelligenti nel modo di porsi, nel modo di comporre musica, nel modo di scrivere i testi, nel modo di rendere le performance live uno spettacolo imprescindibile nel genere. Sono intelligenti perché ironici ma non cattivi, teatrali ma non parossistici, disincantati ma non cinici, divertenti ma non buffoni, allegri ma non stupidi, duri ma non estremi, dolci ma non mielosi, tecnici ma non freddi, intimistici ma non depressi, piccoli ma non chiusi, grandi ma non straripanti e pretenziosi. In poche parole sono equilibrati. E nonostante la normalità non sono banali né piatti. Questo è il loro miracolo.

Ad aggiunta di ciò hanno quasi sempre il barometro spostato sul bel tempo, ed è qualcosa di rassicurante in un ambito musicale spesso appannaggio di soggetti sull'orlo (o oltre) di depressioni, crisi psichiche, suicidi e quant'altro. Questo perché i Phish fanno musica e spettacolo. Non rispecchiano la società, nel bene e nel male. Non faranno mai un brano smaccatamente politico o sociale (e per i miei gusti è un male), ma non ne faranno neanche mai uno ridicolmente basato sui sentimenti peggiori dell'animo umano (e per me questo è il loro maggior pregio contenutistico).

Ed è per questi motivi che la mia scelta di de-recensore è stata mirata su Undermind.

Undermind è un disco "tardo" dei Phish, nati musicalmente negli anni '80 ed esplosi nel decennio successivo. E' un disco commerciale, senza i picchi e le sperimentazioni dei primi album, senza la voglia di seguire l'onda modaiola degli album di metà carriera. E' un album pop, normale, mediocre nel miglior senso del termine. E' un album che ha tutto quello che deve avere un album completo. E' quell'album per cui ogni artista pop lavora una vita (non arrivandoci mai), è quell'album che ogni "serio" artista rock vuole evitare per dimostrare di essere duro e puro, di essere lontano dalla musica in quanto tale e di essere vicino più ai contenuti che alla forma. E un album che nonostante tutto questo è suonato divinamente, ma mai per impressionare, ma solo per arrangiare come dio (sic) comanda i brani in esso contenuti. E' un album che non colpisce e non trascina, ma non annoia e non disgusta. E' un album che tutti possono ascoltare e di cui tutti possono godere, perché fatto col cuore e con il cervello, con l'anima e con l'orecchio, ma senza prendersi troppo sul serio. E' un album ispirato e professionale.

I brani sono di chiara matrice pop resa spuria da innumerevoli e azzeccatissimi inserti di roots rock, country, bluegrass, world, alternative rock, psichedelia e progressive. Al contrario degli album più famosi la vena jam è più frenata, non divaga, è perfettamente inserita nel contesto della forma-canzone. Le sonorità sono molto orientate agli anni 70, con la chitarra di Anastasio quasi sempre satura e "valvolare", calda ma ben gestita. Dal punto di vista strettamente sonoro è da registrare anche un netto miglioramento della voce di Anastasio, non so in quale percentuale dovuto alla produzione e al missaggio o al naturale raffinamento e cambiamento dettati dall'avanzare dell'età del soggetto.

Tutto scorre per 51 minuti di pura delizia. Non volendo descrivere i brani uno ad uno mi limiterò a segnalare "A Song I Heard The Ocean Sing" (con dei notevoli pattern chitarristici d'antan. E che suono. Il lo-fi hi-fi...), "Crowd Control" (decisamente poppettara, ma sfido chiunque a non sentirsi "allegro" dopo questo motivetto), "Secret Smile" (divertissment dalle cadenze etnico-afro-reggae) e la chiusura "Grind" (eccezionale rivisitazione della bubble music vocale americana anni '50-'60).

P.S.: Nei commenti di un'altra recensione mi è capitato di leggere che i Phish sono "troppo felici". Ancora sto ridendo.

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