2016. Jazzwise: “The most exciting piano trio since Esbjörn Svensson Trio”.

Non si può far finta di nulla, almeno… Io non posso far finta di nulla leggendo una definizione simile e dopo oltre 365 giorni di “rimandiamo a domani quel che possiamo fare oggi”, per Natale mi sono finalmente regalato “Parallax”, che mi rimanda ai famosi “errori di parallasse”, dei quali il mio professore di chimica mi avvisava puntualmente, ma che altrettanto puntualmente venivano commessi e inficiavano i miei voti in fase di verifica, ma questa… è un’altra storia!

Questo disco, il sesto, e penultimo, in ordine temporale, dei “Phronesis” è un sicuramente un disco jazz, ma non il classico disco jazz.

Ci sono un sacco di elementi estrosi, contaminazioni folk, tecnicismi classici, risvolti rock, tutti riproposti da un “piano trio”, così composto: l’inglese e prolifico compositore, oltre che sassofonista, Ivo Neame (pianoforte), il norvegese Anton Eger (batteria) e il danese Jasper Høiby (contrabbasso).

Tre brani a testa (di Eger: “67.000 MPH”/”Rabat”/”Ayu”, di Neame “Ok Chorale”/”A Kite for Seamus”/”Manioc Maniac”, di Høiby “Stilness”/”A Silver Moon”/”Just 4 Now”), tutti registrati in un solo giorno all’Abbey Road Studio, quasi un concerto live, dove loro danno il meglio, divertendosi, coinvolgendo e strabiliando il pubblico.

Sono indiscutibilmente bravi, anzi bravissimi, ma rispetto a “Esbjörn Svensson Trio” mi manca qualcosa, probabilmente in termini di sensibilità e condivisione musicale.

Nota positiva: si percepisce la differenza di scrittura tra Neame, Høiby e Eger (quello che personalmente incontra maggiormente i miei gusti in questo album). Nota negativa: c’è qualcosa di finemente, impercettibilmente scollegato che non li rende perfettamente affiatati al mio orecchio pignolo e spacca-maroni (perdonate il francesismo). Provo a farmi capire meglio e allora dico che sono tre straordinari musicisti, che si scambiano ottime idee, cercando di coinvolgersi e riuscendoci “solo” per gran parte dei 56’ e 44” dell’album e non per la sua totalità. “Phronesis”, d’altra parte, significava in greco antico “saggezza”, ma quella saggezza che uno poteva mettere a disposizione degli altri per la realizzazione di un bene pratico. Alla luce di ciò l’uno si mette a disposizione dell’altro per la realizzazione di un CD di ottima fattura, ma che probabilmente mi risulta mancante dell’animo che trovo in brani come “Elevation of love” o “When God Created the Coffee Break” di “E.S.T.”.

“67.000 MPH” (la velocità della rotazione terrestre) è l’apertura al mondo di “Parallax”, tema di contrabbasso, una schioppettante batteria con i piatti battuti in 16esimi, fino all’elemento latino-americano del pianoforte, mentre “Rabat”, è la chiusura e il brano leader in termini di struttura e progressione armonica, un ribattuto puntato del pianoforte apre all’incastro ritmico con basso (quintine), fino al congiungimento con la batteria, che si intromette colpendo il cerchio del rullante fino a svilupparsi con ritmiche popolari che sottolineano un pianoforte percussivo. Il finale di “Ayu”, quasi a “powerchords” di pianoforte staccati da frasi di basso, dà molta energia, così come “Manioc Maniac”, che palesa interventi honky tonky. Romanticismo in “A Kite for Seamus”, contemplazione in “Stilness”, mentre ci sono interessantissimi elementi di contrappunto in “OK Chorale”.

E’ un album molto pieno musicalmente e c’è di magnifico da dire che in questo album le pause “suonano” e hanno un effetto che crea realmente stupore nell’ascoltatore. Quasi un’ora di altissimo livello musicale che passa velocemente per un orecchio abituato, un po’ meno per chi il jazz lo mastica ‘de temps en temps’, ma certamente è un disco realizzato e concepito con un alto grado di creatività ed immaginazione.

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