Non è facile parlare di questo libro o, meglio... qual è l'ottica da scegliere, o preferire, per cercare di focalizzare quanto la storia di Piero Tarticchio ci vuole raccontare? Parlo, appunto, di preferenza perchè verrebbe la tentazione di limitare la trattazione alla pura invenzione letteraria: un'accorata sinfonia a più voci, spesso non umane. Per molte pagine sembra d'essere immersi nel fantasioso mondo dei fumetti Disney: persone, gatti, topi e volatili che parlano tra di loro, con un Caronte che funge da tramite tra il reale e il fiabesco. Dicevo sembra... sembra, perchè la Storia con la esse maiuscola è in agguato, e non avrà riguardo per alcuno

Devo ammettere che nelle prime pagine la vicenda non riesce ad avvincermi, il gioco narrativo adottato dall'autore mi sembra prolisso e fin troppo, seppur volutamente, fantasioso. È palese la ricerca di procrastinare il più possibile la tensione del raccontare, un espediente che trova il suo strumento nella dantesca storia (ultra)terrena del proprio, amatissimo, gatto. Sarà l'entrata in scena prima discreta, poi da personaggio centrale del romanzo di Primogenito (o Torpedine), a condurre la vicenda verso il suo svolgimento naturale. È qui che l'autore dà il meglio di sè. La straordinaria caratterizzazione di questo pseudo "scemo del villaggio", figura felliniana quant'altre, è la parte più alta del romanzo. Si intuisce tra le righe l'amore di chi ne scrive, un'empatia immediata si crea con il lettore e cresce il desiderio di poter credere che una persona tanto speciale fosse davvero esistita, da qualche parte, per poterla conoscere. È lui il Caronte di cui parlavo poco sopra, è lui che sarà il collante di tante vicende, talora felici, altre volte grottesche, spesso tragiche, intrise infine di contagiosa speranza in un futuro migliore.

Protagonista sarà però, sempre e comunque, la Terra Madre, l'adorata Istria, amata ancor di più dopo lo stupro subìto, un debito pagato per colpe non proprie e a nome di una Nazione intera, senza che questa Nazione sappia o solo immagini che quassù, in questo lembo di terra dell'estremo nord-est, si fosse compiuto un dramma tremendo. Ogni episodio del romanzo trasuda nostalgìa, struggente e disperata, pagine che sembrano emanare il profumo della salvia e del rosmarino, e poi il soffio impetuso del vento, e il mare splendido, la roccia battuta dal sole e il cicaleccio della gente ancora ignara della sventura incombente. In ogni pagina l'autore infonde la propria cultura, la propria anima, presago della catastrofe. Una vicenda che non è difficile intuire come fortemente autobiografica.

Scriveva alcuni anni fa Anna Maria Mori nello straordinario "Bora": - Si può vivere senza la bambina o il bambino che si è stati, poco o tanto tempo fa, senza i suoi luoghi...senza le certezze conquistate contemporaneamente all'uso della parola...senza il dialetto, il sapore del radicchio tenero di 'primo taglio... senza le compagne di scuola? - Senza, senza, senza. Consumare una vita, migliaia di vite, 'senza'. Sapere che sarà per sempre e che, se forse ci sarà una redenzione, saranno altri a goderne, conduce ad un'esistenza dimezzata, una menomazione invisibile ma non per questo minore.

Devo qui inserire una chiosa di natura personale. Queste vicende che, per quasi tutti, sono senza legame alcuno con la realtà vissuta non lo sono del tutto per me. I miei nonni paterni hanno vissuto in prima persona queste vicende, e mio padre fa parte della prima generazione nata dopo la diaspora. Un filo sottile lega l'esistenza dei personaggi del romanzo alla mia e quella generazione, per legge di natura, si va lentamente estinguendo. Rimarrà nelle coscienze e nei ricordi di chi avrà il desiderio, come fa l'autore con la penna intinta nel sangue, purtroppo non solo metaforico, il compito di perpetuare questa drammatica fase storica. Un languido senso di impotenza e di insano realismo mi accumuna alle frasi finali dell'autore. Le domande che Piero Tarticchio si pone non hanno avuto risposta, non l'avranno. Anche l'istituzione della Giornata Del Ricordo è stata occasione di strumentalizzazione politica, becera e volgare proprio perchè strumentale. Così è e, credo, così sarà. Purtroppo.

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