Era il 2002 quando uscì e comprai questo disco, e dissi: “bene… anzi… male: è finita” . Aveva tutta l’aria di un funerale, dell’epitaffio, a tratti anche allegro, della grande canzone d’autore italiana. I protagonisti erano questi: il Principe De Gregori, certo il migliore della combriccola, splendido e sempre attivissimo cantautore, definito, non sempre a proposito, il “Dylan italiano”, e questo epiteto è stato a tratti riduttivo quanto esaltatorio. Certo, nel suo modo di vivere la canzone c’era (e c’è) molto di dylaniato, nel bene e nel – pochissimo - male. Il secondo è Pino Daniele, uno di quegli artisti italiani con la carriera divisa in due: un passato grandissimo di sperimentazione, di libidine e di grandi prove compositive e strumentali, ed un presente che, quando va bene, è puro sottofondo ascensoristico, e quando va male riempie la stanza d’imbarazzo per chiunque l’abbia amato. Il terzo è un personaggio assolutamente misterioso nel nostro panorama cantautorale nazionale. Capace di grandissime canzoni cantautorali (chi ha scritto “Piazza Grande” già s’è conquistato abbondantemente il paradiso) di paraculate furbette e ben fatte (“Attenti Al Lupo” ) di Sanremi dimenticati con canzoni belle (“Il Mondo Avrà Una Grande Anima” ) ed altri vinti con brani carini ma di fondo mediocri (“Vorrei Incontrarti Tra Cent’ Anni” ). Ha collaborato tanto all’ immortale “Banana Republic” in anni antichi e veri, quanto con il trascurabilissimo Lorenzo Giovannotti in anni recenti piccini piccini. Insomma: un mistero talentuoso, intonatissimo e dalla grande musicalità, oltre che dall’ invidiabile senso della canzone.
La quarta è Fiorella Mannoia, definita dai cattivi “ piano bar di lusso” e dai buoni una grande cantante, più che altro per l’amore a lei diretto da maestri quali Fossati e lo stesso De Gregori. Io non son mai riuscito a sbilanciarmi. Tecnicamente è bravina, alcuni dischi sono oggettivamente belli, ma il tutto ha sempre avuto un alone di inevitabile sopravvalutazione. Il fatto che quattro personalità così s’ unissero non per un concerto ma per un tour intero era cosa al tempo piacevole e terrorizzante. E così è il disco.
Piacevole perché lì dentro c’è un grande campionario di canzoni bellissime, vera storia della canzone italiana, intepretate (quasi sempre) benissimo. Terrorizzante perché il progetto in sé unisce la disperazione di un genere morente ad un “giriamola in sagra” che sa tanto di festa de L’ Unita, di salamini e di “cantiamola tutti assieme” che rischia d’essere un po’ uno svilimento sia del genere che degli stessi interpreti. Certi vocalizzi di Daniele, certi balletti della Mannoia (per chi ha il dvd…) e soprattutto certi cori da “terza da osteria” non arricchiscono certo un prodotto che, ne sono sicuro, vent’ ani prima sarebbe stato concepito in maniera del tutto diversa, se non opposta. Qualcuno potrebbe obiettare, a questo punto, che a me piace il cantautore serioso, incazzato e che te la conta su sul mondo. E probabilmente in parte è vero. Ma ci sono le vie di mezzo come, ad esempio, l’ ultimo Fossati, che ha saputo ricostruire il proprio passato più rock e “divertente” senza creare un clima da “è qui la festa ?”.
Comunque, è innegabile, a tratti si gode. Alcune interpretazioni sono bellissime. C’ è senz’ altro più divertimento che commozione, e forse c’è solo divertimento e nessuna commozione. Ma almeno il divertimento pare sincero. Pino Daniele s’è detto disponibile a ripetere l’ esperienza solo se accetterà anche Fossati di partecipare. Pare che il genovespiemontese, forse falso e cortese, abbia detto un sorridente “no, grazie” .
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