Avere quella bell'urgenza di dire, di comunicare, a vent'anni è giusto, sacrosanto. Forse persino doveroso.

Averla ancora a cinquanta è un vizio. Un peccato che oserei definire mortale.

Prince ci ha, ahimè, abituati all'iper-produzione. Paradossalmente, nei primi ottanta (il suo periodo d'oro) calibrava le uscite discografiche, pur frequentissime, con progetti eterogenei tra loro ma ciascuno amabilmente "concept": pochissimo avevano in comune, per dire, "Purple Rain", "Around The World In A Day" e "Parade", pur essendo consecutivi e tutti e tre, per motivi diversissimi, splendidi.

Poi sono arrivati i novanta, i celeberrimi e furiosi litigi con le case discografiche, le ribellioni, gli pseudonimi e troppi, troppi, troppi dischi.

Dopo aver pubblicato, nel passato, anche un paio di quadrupli (?!), ora il genietto di Minneapolis se ne è uscito con tre dischi contemporanei, trovabili principalmente in internet ma anche in qualche grosso (e sopravvissuto, ahinoi) negozio di dischi. Io ad esempio ne ho trovata copia, come triplo, e dunque come un'unica uscita discografica, alla FNAC.

Allora, iniziamo a dire che l'ispirazione, la miglior ispirazione, pare morta da tempi immemorabili.

La quantità potrebbe dunque dirsi inversamente proporzionale alla qualità. Probabilmente, se di questi dischi se ne fosse fatto uno solo, selezionando le tracce migliori, non sarebbe stato certo tra i migliori, ma sarebbe stato abbondantemente ascoltabile come, ad esempio -tra le opere del periodo buio- "Gold" o "Cahos&Disorder", oppure anche il quasi recente "3121" ..........

Qui invece si è sboronato. La s'è fatta decisamente fuori dal vaso.

Potremmo definirli tre "concept album", nel senso che il primo ha una struttura minimalista, tendenzialmente voce, chitarra, batteria e basso, con qualche piccolo intervento di piani e tastiere, ed è il migliore dei tre. Sentito, ottimamente suonato. Scritto mediamente male, ma in fondo ascoltabile.

Il secondo, pregno di autocitazioni soprattutto nelle sezioni ritmiche elettroniche, è danzereccio, banalotto ma a tratti piuttosto divertente. Niente di che per esser Prince, intendiamoci.

Il terzo è un album solista e sostanzialmente insensato della sua protetta del momento, Bria Valente, prevedibile figottone, di cui è facilissimo diventare amici su Facebook (però...). Roba patinata. Ottima da imboscadero con donna semi-matura, ma niente più.

In conclusione, oltre all'ovvio consiglio ai non devoti di astenersi senza alcun problema, ci permettiamo, nel nostro minuscolo, di dare un consiglio direttamente al Principe (ovviamente un consiglio che mai leggerà e che dunque mai potrà prendere in considerazione...): partiamo dalla parabola dei talenti.

DioochiperLui gliene ha dati davvero tanti: è stato un ottimo autore, con un invidiabile "senso della canzone". Ha scritto pagine indimenticabili (ancor oggi, nelle radio, "Purple Rain", "Kiss", per dirne due, passano giornalmente come grandi classici). Ha una voce particolarissima ed un falsetto unico, da far invidia persino a un berrighibb. In più suona qualsiasi strumento, ma su tutti chitarra e piano, in maniera a dir poco fenomenale.

Ma i talenti, come tutto, invecchiano, appassiscono e a volte muoiono.

Oggi il Principe non sa più scrivere. L'ispirazione, il "Gong-ho", per dirla con Conte, non passa più di lì. Ed allora, la cosa davvero migliore sarebbe mettere a frutto le armi che ancora funzionano.

Un bel disco di funk-jazz, o un altrettanto bel disco di cover. E poi tanti tanti concerti. E pochi dischi.

Ovviamente, farà il contrario. E noi, passivamente, l'ameremo comunque.

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