1975: Pupi viene da un flop e che flop. Coadiuvato dalla sua banda di scavezzacollo, Antonio Avati, il fratello, Maurizio Costanzo, Gianni Cavina ed un giovanissimo Christian De Sica, ha diretto BORDELLA, un film sconcio, che non passa il giogo della censura.

Come se non bastasse, Pupi e i suoi vengono pure citati in tribunale e processati dalla Procura di Latina. Il nostro si affida al fantomatico Avvocato PiparielloAvvocato, ce la faremo? …Certo, a Latina conosco tutti, ho già lo champagne in macchina per festeggiare…

Vennero tutti condannati.

E adesso che si fa? Pupi è col culo per terra e per risalire la china si gioca la carta del “film di recupero”. Il film di recupero è un film per ripartire, ed è sempre a budget ridotto, ridotto all’osso. All’epoca un film di recupero si faceva con 160mln, lui vi riesce con 150. C’è lui che fa il regista (e basta vivaddio) e poi c’è la troupe, composta da sole 12 persone interscambiabili. L’autista è anche fonico, il fratello s’improvvisa scenografo (è lui che dipinge le bocche che ridono sulle finestre di un rudere) l’attrezzista è anche fotografo di scena... Scrive soggetto e sceneggiatura col fratello, Maurizio Costanzo e Gianni Cavina e sceglie come protagonista il bravissimo, sottovalutato ma non da lui, Lino Capolicchio.

Facciamo un horror! Siamo nel ‘76, il (sotto)genere tira, …Proviamoci!

Ovviamente non sa che sta creando un film che farà scuola, un film di culto, sarà il suo film più citato e ricordato, ancora oggi, dopo 48 anni. Qualcuno addirittura, dirà che La Casa dalle finestre che ridono (titolo strepitoso, ne converrete) inaugura un nuovo genere: l’horror-gotico padano. Io non so cosa abbia inaugurato ma so che, per le atmosfere, per la gente che sa mentre lui no, ci ritroviamo in uno scenario da incubo tipico dell’inquilino del terzo piano, Twin Peaks, The Wicker Man, e scusate se è poco.

Girato tra il Veneto e l’Emilia Romagna tra acqua dolce e salata, tra Comacchio e Guastalla, La Casa dalle finestre che ridono, narra la storia di Stefano, un giovane restauratore di talento, che viene chiamato in questo paesino, per restaurare un affresco sito in una chiesa. L’autore è Buono Legnani, il pittore di agonie, ritrae martiri in punto di morte, mentre vengono torturati, trucidati, ammazzati. Il Legnani è morto, si è ammazzato dandosi fuoco, era pazzo poverino, ma il suo corpo non venne mai trovato e le sue due sorelle, con le quali viveva e – si dice – fornicava, scomparse.

Voi vecchi marpioni l’avrete visto tutti suppongo. Chi non l’ha visto rimedi.

È effettivamente, un film unico, originale, malsano, morboso, disturbante. Fin dall’inizio è chiaro che ci stiamo addentrando in un brutt’affare, a Pupi basta un’inquadratura, un contrappunto sonoro, una zoomata, per farti capire che devi stare in campana. Stefano ovviamente non sta in campana, anzi, man mano che scopre una nuova tessera del mosaico sul Legnani, su quell’affresco e sulle sorelle (te le raccomando) si appassiona e si ritrova sempre più invischiato, è assolutamente intenzionato ad andare fino in fondo, in fondo come la lama di un coltello da macellaio nel costato, per esempio. Il film non ti molla mai, c’è un cazzo da ridere, zero momenti distensivi, se non quando Stefano fa l’amore con la giovane maestrina Francesca, Francesca Marciano, ma anche in queste sequenze l’aria è ammorbante, zero relax.

Gli attori sono in stato di grazia, diretti da un regista coi controcazzi, è come per il calcio, se l’allenatore è forte, il calciatore rende di più. Lino, con la sua determinazione e pacatezza, Cavina l’ubriacone che sa, l’amico con gli occhiali che si impasticca e sta indagando di brutto, si vede poco ma lascia il segno, Giulio Pizzirani, Lidio il chierichetto, uno pscopatico coi fiocchi, Pietro Brambilla, nipote di Ugo Tognazzi. E poi c’è il maresciallo dei carabinieri, il nano, la ninfomane, il prete. E poi basta che con 150mln è dura.

E poi ci sono gli ultimi dieci minuti, dove esplode l’horror e la follia a livelli inimmaginabili, dieci minuti di cinema horror da incorniciare, un crescendo di terrore, raccapricciante, farneticante, vieni… vieni a vedere, noi lo teniamo qui…

Pupi Avati, perché nel corso della sua lunga carriera, spesso, si è cimentato in film di genere? Horror, fantasy, film d’epoca…

Moretti, fa il Moretti, Guadagnino, Gianni Amelio, Veronesi e così via… non fanno film di genere, fanno film su se stessi…Il film di genere invece impone delle regole, è solo quando fai un film di genere, che fai davvero cinema.

Sergio Leone, che un genere se l’è addirittura reinventato, imponendo nuovi canoni e dando il via ad un genere nuovo, ancorchè a tutt’oggi classico e immortale, penso che sarebbe d’accordo.

Lidio, quella spia, non c’è più, adesso mi tocca fare tutto da sola… ooooooh oooh ooooh oooooh….

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