Quando si parla di horror, si pensa subito a paesaggi oscuri, tenebrosi, dove tutto è in decadenza e le ragnatele la fanno da padrone, non si va mica a pensare all' Emilia Romagna, alle ridenti spiagge di Rimini, no si va a pensare che proprio con questo sfondo si possa costruire un horror con i controfiocchi. In un certo senso 'Zeder' si basa anche su questo, il netto contrasto tra le oscurissime tematiche e la vivace e solare terra in cui è ambientato. Dopo l'immenso "La Casa dalle Finestre che Ridono", del 1976, Pupi Avati, si cimenta con un nuovo horror: è il 1982 (uscirà nell' ‘83), ed ancora una volta, a fare da sfondo alle sconcertanti tematiche, c'è la pianura padana. Ma ora veniamo al film.

Si parla di uno studioso, Paolo Zeder, che nel tardo ‘800 elaborò la teoria dei terreni K, zone in cui non esiste tempo, non esiste spazio ed i morti possono tornare in vita: manco a dirlo uno di sti terreni K è proprio in Emiglia Romagna. Si parla, di uno scrittore bolognese (tranne una piccola parentesi iniziale, il film è ambientato nel presente, di allora si intende, nel 1982), che riceve in regalo dalla propria moglie una macchina da scrivere usata, con la quale potrà finalmente cercare di scrivere i suoi abbozzi, i suoi testi, in maniera decente. Una notte, Stefano, questo è il nome dello scrittore, si alza perché non riesce a prendere sonno, e decide di buttar giù 4 righe con la nuova macchina: si accorge però che nel nastro della macchina(io dico così, ma non so bene come funzioni una macchia da scrivere), sono riportati dei dati, che narrano di strane vicende relative ai terreni K.

Da qui in avanti, comincia una lenta ed inesorabile immersione nell'incubo: Stefano indaga sul precedente proprietario della macchina da scrivere, ma nel frattempo un susseguirsi di avvenimenti lo spingono a spostare le indagini, a Rimini dove i fatti prendono una svolta sempre meno noir, e sempre più inquietante: si scopre che la macchina da scrivere era appartenuta ad un certo don Luigi Costa, il quale era sparito dalla circolazione tempo prima, in circostanze misteriose. La matassa si infittisce, le indagini continuano a prendere nuove svolte, una terrificante verità viene a galla, sino all' apoteosi finale in cui un'ex-colonia gigantesca, nelle campagne romagnole, diviene il luogo dove la verità assoluta sui terreni K viene svelata, un luogo ove l' immaginazione, la realtà, la vita e la morte si fondono in un'unico e delirante finale altamente inquietante e suggestivo.

Tutto ciò è 'Zeder', film che si distingue per la bella ed intrigante trama, e per il tesissimo crescendo che ci porta ad un finale da brividi: è sicuramente un Avati diverso da quello che abbiamo in mente, ma certamente ugualmente efficace. Punti di forza del film, oltre alla genialità della trama sono, innanzi a tutto la bravura degli interpreti, Gabriele Lavia nel ruolo di Stefano e la bella Anne Canovas nella parte di sua moglie, ma anche certe scene straordinariamente cupe ed inquietanti, come la presenza che si manifesta nello scantinato, all'inizio del film, o la lenta sequenza in cui viene inquadrata la faccia del morto che resuscita e lentamente riapre gli occhi (confesso che quando vidi la scena, anni or sono, rischiai di cacarmi addosso).

Pupi Avati, si rivela abile sceneggiatore, aiutato dai fidi Antonio Avati (suo fratello) e Maurizio Costanzo (si, proprio lui), e si distingue dalla sudicia accozzaglia splatter del periodo per una certa eleganza e "pulizia" del film (insomma, per far paura, non servono autobotti di sangue, e maciullamenti vari...). Da non tralasciare poi la scelta degli attori, sempre con facce molto particolari, non tanto quelle di Lavia e la Canovas (che nel film fanno la parte dei ‘belli'), quanto tutte quelle macchiette che ruotano attorno e che sono indispensabili per la perfetta riuscita dell'opera: in questo caso, l'optare per attori dai visi grassocci, grotteschi e campagnoli si rivela una mossa azzeccatissima (ma d'altronde Avati, come Fellini e tanti altri maestri ha sempre avuto molta cura nella scelta degli attori).

Considerato minore rispetto a "La Casa dalle Finestre che Ridono", Zeder viene quasi sempre oscurato dal suddetto predecessore, ma preso singolarmente si rivela un piccolo capolavoro, sicuramente uno dei massimi risultati dell'horror italiano e non (assieme a Bava ed Argento), che ha avuto da insegnare anche agli artisti d' oltreoceano (e sicuramente Stephen King con il suo 'Pet Sematary' ne sa qualcosa).

C'è chi dice che l'Italia, ed il cinema dell'orrore, siano due cose inconciliabili: per quanto mi riguarda, l'horror italiano, è stato quello che per ora, più mi ha affascinato. Boh, giudicate voi...

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