Allora, forse la cosa più sensata è chiedersi cosa funziona e cosa non funziona nell'ultimo film di Quentin Tarantino.
Sì, perché, benché il film finisca con la frase "questo forse potrebbe essere il mio capolavoro" (di più non diciamo per rispetto a chi non l'avesse visto...), non non siamo d'accordo con il messaggio, neanche tanto nascosto dall'autore nella bocca del suo protagonista.
Questo non è il suo capolavoro. È un film che rispetta gli standard altissimi del regista, la sua assoluta maestria nel muovere la macchina da presa, e soprattutto, e forse sta qui tutto il limite (l'unico vero limite dell'opera) quasi tutti i suoi "classici".
Sì, è vero, questo film è in costume, e questa è la vera originalità. Si tocca il genere "nazismo", e ci vuole un bel coraggio, visto il tutto (e forse il troppo) che è già stato detto.
Ma qui si tratta di Tarantino, dunque la garanzia di "non banalità" è una certezza che ci porta al cinema tutti belli assicurati e tranquilli.
Comunque vada, con Tarantino, il prezzo del biglietto è sempre ben speso.
Il limite, dicevamo, ci sembra essere quello dell'eccessivo rispetto dei propri classici: la figura femminile più forte e meno cogliona delle maschili (una verità storica difficilmente negabile), la divisione in capitoli, le citazioni del cinema italiano (da Leone in giù... anche molto in giù, fino al Generale Fenech...), le battute fulminanti e spiazzanti, i personaggi tagliati con l'accetta, eppur benissimo.
È una formula che ha stancato? A mio avviso no, e per due motivi. L'ambientazione nazista offre comunque al tutto un'aria di novità, quantomeno estetico-visiva.
E la qualità, la vera qualità, non stanca mai. Se, per fare il solito esempio gastronomico, vado nel mio ristorante preferito perché lì fanno la miglior cotoletta alla milanese della storia dei tempi, non posso certo lamentarmi di trovarla sempre uguale. Anzi: l'importante, in qualche modo, è che sia sempre uguale.
Detto questo, probabilmente, fino a "Kill Bill", siamo stati abituati a un Tarantino costantemente in crescita, in continua ricerca ed evoluzione, fino a toccare l'iperuranio del cinema perfetto proprio con quel film lunghissimo, diviso in due parti, che già allora mi fece riflettere sul concetto di "non superabilità" e di "perfezione alla portata degli umani". È, ovviamente, di "impossibilità di successione". Già con "Grindhouse" uscii dal cinema molto divertito ma con la sensazione del "passo fermo" se non anche del lieve "passo indietro".
Dunque, nella vita, bisogna anche sapersi accontentare, anche se accontentarsi di un Tarantino normalmente ineccepibile, con qualche retrogusto di "già visto", è un gran bell'accontentarsi...
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