Premessa: 'Kill Bill' è un unico capolavoro. La scelta di Tarantino di spezzarlo in due volumi è dovuta, a mio parere, ad una mossa spudoratamente commerciale, che però non mi sento in nessun modo di criticare: tagliare la più banale delle scene sarebbe un delitto.

Il film si apre con un nero, ma fuoricampo si sentono ansiti di donna, dei quali è impossibile identificare la causa. Un primissimo piano insanguinato, devastato ci dà la risposta, e una voce maschile, fuoricampo, dà la più allucinata delle spiegazioni per tanta violenza: no, non è sadico il carnefice, perché nella sconfitta di quella donna giunge al vertice del masochismo. E poi "bang bang" il dolce viso sfigurato si ritrova con una pallottola conficcata nel cervello.

E' un film di vendetta, vendetta da servire a freddo, ma è anche molto di più. E' la storia di una donna, di una madre, di una killer, che si sveglia dopo 4 anni di coma, con il cranio rattoppato e il ventre svuotato della vita che aveva accolto.

Dopo questo inizio drammatico, il primo volume di 'Kill Bill' è violenza e arte, nient'altro. La protagonista ci mette in guardia sin dall'inizio della sua missione: non fatevi ingannare, non troverete neppure un briciolo di pietà, né compassione, né perdono, ma solo una razionalità di ferro; nessuna conseguenza sarà sproporzionata rispetto alla causa, nessun tribunale potrebbe essere più equilibrato nel valutare le colpe, ma attenzione, perché quella umana, quella del guerriero, è una giustizia che non lascia spazio al pentimento.

Il primo volume è dominato dall' influenza del film giapponese 'Lady Snowblood', e così, un anime ci catapulta dalla corrotta e prosastica America alla Yakuza, la spietata mafia giapponese. La piccola O' Ren, spettatrice del brutale assassinio dei genitori, arriva, dopo la vendetta, ai vertici della mafia.

Ma si passa ben presto ad un'altra vendetta, quella della sposa del massacro ai Due Pini. Il primo dei magnifici momenti poetici del film si svolge nell'isola di Okinawa, dove la sposa si procura il leggendario acciaio di Hattori Hanzo, ma allo spettatore non è permesso di rilassarsi a lungo. Si riparte ben presto con 10 minuti di sangue e corpi mutilati, smussati solo da qualche bianco e nero per riprendere fiato; infine, un giardino innevato, dipinto da una fotografia studiata ad arte. La sposa e O' Ren combattono, è vero, ma qui non è la violenza ad avere la meglio perché la vendetta purifica, e, cadenzata dal lento scorrere dell'acqua, la lotta si conduce a colpi di eleganza marziale e registica, in una scenografia da mozzare il fiato.

Tarantino è sempre stato un fanatico dei film giapponesi di samurai degli anni ‘60, di splatter di serie C e b-movies di vario tipo, e spaghetti western, un mix che non promette molto e che solo un genio poteva trasformare in un'opera come questa. Il tutto è accompagnato da una colonna sonora che si adatta perfettamente all'azione, ne è parte costitutiva.

Il mago della sceneggiatura sceglie di non giocare la sua carte vincente; nondimeno, ogni parola è studiata e sfruttata fino al parossismo, rendendo i rari e brevi dialoghi estremamente emozionanti.
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