Questa sarà una recensione molto lunga, astenersi lettori pigri J
I Quo Vadis, gruppo canadese da non confondere con i loro omonimi colleghi dell’est Europa, sono un gruppo di technical melodic death metal.
Un pò di storia della band: la band nasce nel 1993 ad Amos per opera del mastermind del gruppo Stéphane Paré, voce e autore dei testi, il quale dopo aver reclutato nella band Rémy Beauchamp al basso, Bart Frydrychowicz e Arie Itman alle chitarre e Yanic Bercier alla batteria, da vita ad una delle migliori verità technical melodic metal.
Il sound:
I Quo Vadis suono un gruppo molto particolare, quasi unici nel loro genere in quanto, pur prediligendo una musica estremamente complessa ed articolata, ricca di cambi ritmici e virtuosismi quali assoli di basso e chitarra e riffs di solito particolarmente estrosi, cercano sempre di non perdere d’occhi due delle caratteristiche fondamentali della propria musica: aggressività e melodia, la prima sottolineata non solo dallo scream di Paré estremamente espressivo e in più frangenti disperato, ma anche dalle basi melodiche dei pezzi, molti dei quali basati sulla velocità. La vena melodica viene invece sottolineata da aperture chitarristiche e di violino (specie nel disco che a breve analizzeremo); è proprio questo che rende i Quo Vadis un gruppo non solo adatto a chi predilige un sound aggressivo, ma anche a chi, come il sottoscritto, cerca sempre un poco di melodia nei dischi.
"Forever":
Uscito ormai nel lontano 1996, "Forever" rappresenta il primo passo della discografia (se si esclude il demo dell’anno precedente) degli allora giovani Quo Vadis. Composto da 10 pezzi, per un totale di 39 minuti scarsi, questo album incorpora in se già tutti i caratteri distintivi della band del Quebec, presentandosi maturo e dotato di una spiccata personalità.
Aperta da un giro armonico di chitarra che risulterà essere poi il tema portante di tutta la canzone, “Legions Of Betrayed” è sicuramente una delle tracce simbolo dell’intero platter, mostrandosi come track violenta nel suo incedere e dotata di una freddezza davvero spaziante: ora non voglio che questa affermazione vi faccia pensar male, dal omento che questa prima canzone non è priva della parte emotiva, bensì è dotata di un’atmosfera glaciale e fredda che vi lascerà alquanto spiazzati. Il lavoro esecutivo della band si presenta ineccepibile e del tutto esente da critiche, risultando minuziosamente curato e creativo in ogni suo aspetto. Fantastiche le liriche che parlano di un Gesù Cristo che pur essendosi sacrificato per l’umanità viene ricambiato con crudeltà dal nostro genere. Le descrizioni nel testo donano poi quel tocco di intelligente violenza, che fa del lavoro un master-piece, non scadendo mai nella volgarità, ma mantenendosi sempre e comunque su alti livelli come possibile notare nella seconda strofa che così recita:
“I can not comprehend
The logic behind your sacrifice
As you caress me with your broken hands
I break them again,
Spitting venom into your tired eyes”
“As I Feed The Flames Of Hate” viene aperta da un intro di chitarra che accompagna le note delicate e intrise di disperazione del violino, che fa la sua prima apparizione, accompagnando l’ascoltatore in un mondo triste e tetro: il pezzo è forse quello più carico emotivamente, proprio grazie alla particolarità dell’aggiunta di uno strumento atipico per il death metal quale è il violino che con il suo suono delicato ma velato da una sottile patina malinconica accentua ancora di più il senso di perdizione e di smarrimento. Il testo questa volta risulta essere incentrato sullo spirito dell’ uomo (anche in questo caso Stéphane parla in prima persona, ma ora sembra andare più su fatti personali che non su un “io” collettivo) che viene soggiogato e tenuto sotto controllo da una sensazione che non può controllare e di cui egli stesso quasi mai parla: l’odio.
Questa sensazione di voler nascondere un sentimento tanto grande e terribile esce continuamente fuori durante i sei minuti del pezzo, sottolineato soprattutto dal incedere tragico del comparto melodico. Una batteria sparata in doppio pedale che si va pian piano ad affievolire ci introduce alla breve ma intensa “Carpe Deum”, in cui la parte più selvaggia del gruppo prende il sopravvento: noteremo dunque una devozione particolare nei confronti di ritmiche e riffs feroci, selvaggi, sparati a grande velocità per tutta la durata della canzone. E’ difficile spiegare le emozioni che porta con se questo episodio dal momento che sembra quasi un “tocca e fuggi” che come un uragano così come dal nulla è venuto, nel nulla se ne rivà.
I seguenti 57 secondi sono invece rappresentati dall’interludio recitato “Mystery”, un breve brano, sempre che di brano si possa parlare, dal sapore quasi psichedelico.
I successivi 3 minuti e 55 secondi, corrispondenti al brano “Inner Capsule (Ensemble Of The Element Part II)" sono forse quelli che più mi hanno colpito, proprio perché pur essendo un album particolarmente estremo, questa canzone risulta tanto aggressiva e piena d’odio nelle note, nel cantato da essere quasi eccessiva nell’astio sprigionato. In questo caso il testo contribuisce a dare al pezzo un senso di oppressione e soffocamento in quanto proprio all’ inizio recita così:
“I just can't take it anymore
Knees and hands bolted to the floor
The smoke is coming down on me
Will I just suffocate or be”.
Altro pezzo di grande fascino è quello che segue e che risponde al nome di “Pantheon Of Tears” nel quale la melodia torna prepotentemente in primo piano, anche se il cantato si fa più rozzo, quasi selvaggio. Si apprezzano in questo caso delle linee bassistiche davvero pregevoli che oltre a sostenere la sezione ritmica in maniera impeccabile disegnano anche dei giri melodici di grande impatto; stesso discorso può essere applicato a “Zero Hour”, altro pezzo in your face, dotato di un ottimo groove, con linee chitarristiche decisamente atipiche per un pezzo death, risultando invece più adatte a versanti heavy-oriented. Di gran classe anche il solo finale, che ci conduce allo strumentale dell’lp: “The Day The Universe Changed”, canzone nella quale la mancanza della voce non si avverte minimamente in quanto condotta alla grande dalla band, con una grande abbondanza di doppio pedale, riffs serrati ma attenti a non far svanire il senso melodico. Ottima la sfuriata dopo i 3 minuti e 30 secondi che fa da apripista all’assolo di chitarra di chiara ispirazione progressive.
“In the darkness of the night I stop and wonder if my existence has changed the world in any way”, con questo interrogativo si apre la breve ma toccante “Nocturnal Reflections”, pezzo che si presenta come un semplice tappeto di note chitarristiche che pur non presentando alcun spunto tecnico di particolare rilevanza risulta essere eccezionalmente rilassante. La chiusura del disco è affidata a “Sans Abris”, song già presente nel precedente demo: il pezzo si presenta tutto sostenuto da una base progressive, estremamente rilassata. Le voci (un duetto tra voce maschile e femminile operistica) fanno la loro comparsa alla fine della track, risultando tra loro dissonanti nel classico, ma sempre ben accetto, duetto voce angelica vs. voce demoniaca.
Conclusioni:
L’album è, dal punto di vista prettamente tecnico, un disco validissimo che si presenta vario nelle strutture ritmiche e ricercato ed elegante per quanto riguarda il comparto melodico; allo stesso tempo risulta essere un platter di grande spessore anche dal punto di vista emozionale, riuscendo a far trasparire da ogni singola nota i sentimenti dei musicisti che l’hanno partorito, grazie anche a delle liriche che raramente ho trovato così interessanti ed intelligenti.
Data la professionalità, la qualità e la capacità di songwriting espressa dalla band credo sia impossibile non dare 5 stelle a questo estremo capolavoro di death metal.
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