Bisognava scrivere qualcosa. Un libro come Cattedrale (1983) non poteva rimanere senza un commento, senza una paginetta che rivelasse al mondo intero la vacuità dei racconti di Raymond Carver. Pezzi di vita a pezzi, senza un inizio e senza una fine, con un senso apparentemente senza senso come le mie giornate, le nostre giornate.

Entrai in camera, presi il pc, lo accesi e lo posizionai sulla scrivania. Funzionava da dio, era un portento, lo avevo acquistato a rate in un negozio specializzato, a tasso zero perché è sempre meglio avere in tasca i soldi piuttosto di non averli. Salvai un file di word sul desktop e iniziai a rimuginare sui 12 racconti. Come potevo riuscire a colpire il mio lettore? Quali chiavi usare per scassinare la cassaforte della loro curiosità? Carver è un autore di confine, o si ama o si odia. C’era poco a cui attaccarsi: niente assassini, niente colpi di scena, zero finali mozzafiato, strutture lineari con una prosa elementare. Flashback? Ma cosa sono? Bastava forse cercare di spiegare le mie sensazioni, cercare di far capire la mia rilassata inquietudine a scorrere le vicende di certe storie: un cieco che viene dopo anni a trovare una coppia, una famiglia che si trasferisce in un residence, un marito lasciato solo con due figli da tenere a bada, un tappo in un orecchio che non lascia pace e così via... A tratti magari subentrava una voyeuristica necessità di sapere come andava a finire. E quasi mai andava a finire, cazzo.

Non trovavo però l’ispirazione, le dita erano inchiodate alla tastiera, gli uccelli fuori mi ricordavano che la Primavera era arrivata anche se le temperature parevano ancora invernali. Papà, possiamo uscire in Vespa dopo? Ok ma ora non posso. Vieni, Peggy, vieni, ma cosa stai facendo, non disturbare il papà che sta lavorando. Mi scappò un sorriso. Davanti al computer parevo un serio e infaticabile lavoratore, ricordavo mio padre che lavorava per portare a casa una tranquilla pagnotta per sfamare tutti i nostri appetiti. Un bel ricordo, un bellissimo ricordo. Adesso ero io a portare avanti una famiglia perché la vita andava avanti da sola, un po’ troppo velocemente per i miei gusti ma c’era poco che potevo fare o cambiare. Ognuno vive la propria la velocità, i personaggi di Carver sembravano viaggiatori che ammirano il paesaggio da un finestrino di un treno lento. Uomini e donne che peccano di troppa umanità, quella che trovi accalcata in una metro all’ora di punta, quella che al supermercato spinge per accaparrarsi l'offerta del fustino. La gente che sa di popolo.

Musicanidi, è arrivata tua madre, esci da quella stanza, dai che fra poco si mangia, lavati le mani, falle lavare ai ragazzi.. Ciao nonna, Peggy lascia stare la nonna, non saltarle addosso. Che casino, ci proverò nel pomeriggio, pensai, magari domani, magari mai. Mi ricorderò però cosa dire? Non mi sfuggirà il sapore agrodolce di quelle pagine? Ma chissenefrega, scriverò qualche stronzata. La gente si beve tutto e mangia tutto quello che trova. In giro c’è fame.

A TAVOLA....ARRIVO….

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