All'uscita del cinema i soliti 65enni un po' snob che non nascondono una sorta di delusione: "Tutte queste morti", "Ancora Messico e il Confine", "Avevano già premiato Traffic".
Io penso che forse è meglio sgattaiolare via. E che sono solo Vecchi.
"Non è un paese per vecchi" è il ritorno in grande spolvero dei fratelli Cohen. Dimenticate le frivolezze clooneyane di "Prima ti sposo poi ti rovino", o la risata un po' volgarotta di "Ladykillers". Qui si torna in alto. Se non è il vertice della carriera dei fratellini, poco ci manca. Comunque si torna ai Cohen prima maniera, quelli di "Sangue Facile" e "Crocevia della Morte".
La storia è quella di una valigia piena di dollaroni e dei furfanti che cercano di impossessarsene. La storia è una grande messinscena. Il filone non è quello dello studio di una violenza hardcore, o della dottrina della fuga di un reduce dal Viet-Nam contro la follia omicidia di un sadico gangster, ma di una spietata e filosofeggiante analisi di quanto si possa spingere un uomo a cercare la propria metà oscura.
Nel film vince chi si mette alla prova duramente, chi di solito sanguina, chi spesso muore. Ma nella scelta del dolore c'è anche la scelta di respirare un'aria unica. Perchè la vita stessa, se respirata in tutto il suo carico di paura, "è un vincere tutto", come recita Chigurh-Javier Bardem.
Il protagonista è Llewelyn-Josh Brolin. Trattasi di un tipico anti-eroe che, nel respiro e nella scelta del dolore, trova rimedio alla quotidiana battuta di caccia e alla birra scolata senza guardare la bella moglie. Personaggio intrigante, soprattutto se messo a confronto con la galleria degli anti-eroi dei Cohen. Quando si trovano soli, senza essere accompagnati da prodi scudieri come il Walter del "Big Lebowski", finiscono quasi sempre per cadere.
Molti ci hanno visto una filosofia spicciola e piovuta dal cielo. "Una specie di «imperativo categorico», della morale a tutti i costi" (Mereghetti). Nulla di più lontano dal vero. É semmai interressante parlare dell'intento gianico del film, assolutamente in sintonia con la duplicità del romanzo di Cormac Mc Carthy.
Due figure simbolo. La prima è quella del Nuovo, che usa fucili ad aria compressa, per non lasciare le vecchie e care pallottole. Per lui uccidere un uomo è uguale a uccidere un animale. Non è colt, né west. Si uccide nel Texas come si uccide in Messico. Il nuovo è globale e tenta nuove forme di impatto nella carne. Poi c'è il Vecchio. Pallido esempio di una cultura in ribasso, di una legalità abbandonata prima alla nostalgia che al vero pericolo. Lo sceriffo Bell, interpretato superbamente da Tommy Lee Jones, ne è l'emblema, un mix di cinismo e avventatezza vinti dalla disillusione. Senza la morte c'è la condanna. Al limbo. Alla non-vita. La metafora finale recitata dallo sceriffo è un'ammissione di colpa. Una chiosa poetica e tristissima al contempo.
Un film senza morale. Un film di ghiaccio. La fotografia di Roger Deakins e le scelte scenografiche di Nancy Haigh si sposano perfettamente con un sogno ormai impolverato che si scorge a malapena, anche se è ancora giorno, anche se sembra ancora America.
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