Dapprima alfiere dello slow-core, poi sempre più vicino al rock e alle radici della musica americana, Mark Kozelek, con i suoi Red House Painters, è semplicemente uno dei più grandi songwriter che abbiano mai calcato le scene della musica contemporanea. I suoi dischi sono da sempre garanzia di qualità e il musicista di San Francisco non si smentisce nei suoi lavori da solista, ovvero in quelli caduti sotto il nuovo moniker Sun Kil Moon.

Durante il tour di Songs For A Blue Guitar, uscito nel 1996 la 4AD, Kozelek inizia a scrivere nuove canzoni, spesso anticipate al pubblico durante le stesse esibizioni live. E' proprio in queste occasioni che si intravede il capolavoro "River". Il nativo dell'Ohio sembra aver raggiunto un agognato equilibrio musicale. Lo si vede, ormai lontano dalla trappola del clichè del musicista slow-core, affiancarsi nel panorama musicale ai suoi grandi miti del passato (Neil Young, Pink Floyd); non più in cerca di modelli da seguire poichè diventato egli stesso un archètipo, grazie alla sua voce inconfondibile e ad una sensibilità musicale unica. 

E' il 12 ottobre del 1997. John Denver, star della musica country, muore a seguito di un incidente aereo. Mark è cresciuto ascoltando le canzoni di Denver.  Da questo fatto di cronaca il Nostro trae nuova linfa. La sua penna non era così ispirata dai suoi folgoranti esordi discografici. Scrive "Golden" per il suo idolo. Tutto l'album risulta, in maniera più o meno evidente, influenzata dal maestro di Monterey. Tutto sembra pronto per quello che, scopriremo poi, sarà l'ultimo atto dei RHP.
Il risultato di questa fatica è un disco strepitoso, suonato in maniera eccelsa, insolitamente solare, in alcuni momenti, rispetto ai precedenti lavori. Si può notare una maggiore presenza chitarristica e sicuramente una maggiore fantasia nell'arrangiamento dei brani. Se prima i Painters suonavano in bianco e nero, adesso sembrano preferire il Technicolor. Per gli affezionati del vecchio sound, però, non mancheranno i momenti più riflessivi; momenti che raggiungono una profondità e una drammaticità gigantesche, destinati a rimanere a lungo impressi nella memoria dell'ascoltatore.   

Kozelek vede il prodotto finito già nella primavera del 1998 e, dopo mesi passati a provare, registrare e mixare le canzoni in sei studi di registrazione diversi, in giro tra la California e il Texas, decide di intitolarlo Old Ramon. La data di pubblicazione è prevista nello stesso anno, ma in quei giorni si rompe il lungo sodalizio che legava la band alla 4AD. Le motivazioni non sono mai state chiarite in maniera univoca. Inizia un periodo di beghe contrattuali e l'album sembrerebbe destinato adandare perduto, se non fosse per la caparbietà e la testardaggine di Mark Kozelek, che figura anche in veste di produttore. Così la scelta cade definitivamente, dopo varie delusioni, sulla Sub Pop. E' il 2001. Tutte queste vicende, se non hanno scalfito la bellezza dell'album, hanno influito sullo (scarso) successo commerciale e sicuramente sul morale di Kozelek che, stanco di penare per cose che c'entrano poco con la musica, di lì a poco fonderà la Caldo Verde Records.

Old Ramon è, ad avviso di chi scrive, il migliore album dei RHP dai tempi di "Rollercoaster". Un disco che, a parte qualche passo falso ("Byrd Joel", "Between Days"), presenta una densità di qualità spaventosa e ci regala alcune tra le più belle canzoni del gruppo e, più in generale, un ascolto intenso e unico durante tutta l'opera (più di settanta minuti). Una tappa obbligatoria per gli amanti di Kozelek, un ottimo inizio per chi ancora non lo conoscesse.

Si astengano gli ascoltatori frettolosi e quelli che "...proprio non la sopporto questa musica triste, non ce la faccio...".

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